lunedì 5 giugno 2017

COME E' ANDATO IL FESTIVAL A CASTELLAMMARE DEL GOLFO ?

In molti mi chiedete come sia andata la Quarta edizione della Filosofia d’a-Mare a Castellammare del Golfo dal 1 al 4 giugno. Anche se non è facile restituire per iscritto un clima psicologico, direi un’atmosfera spirituale, ci provo lo stesso. Per chi non abbia voglia di andare sino in fondo a questo messaggio mi limito a una frase: “E’ andata bene, anzi benissimo. Addirittura meglio dell’anno scorso e la soddisfazione espressa da tantissimi partecipanti mi ha reso felice”.
Dal punto di vista quantitativo non c’è stato quel balzo in avanti che mi aspettavo: evidentemente la scelta consapevole di non invitare star anche mediaticamente attraenti ha comportato un contenimento del numero dei partecipanti (attestatosi, nel giro dei quattro giorni e includendo qualche evento aperto a un pubblico non-pagante, a poco più di un centinaio).
Ma (forse proprio per l’autoselezione degli iscritti che si sono mossi da Torino, da Bergamo, da Bologna, da varie altre regioni esclusivamente per motivazioni ‘filosofiche’) dal punto di vista qualitativo difficilmente si sarebbe potuto desiderare di più.
Il “buongiorno” si è visto già al “mattino”, anzi – per essere precisi – al tramonto: la passeggiata filosofica inaugurale delle 18,30 del primo giorno ha ancora una volta attestato il miracolo della fioritura di tanti bei pensieri socializzati da uomini e donne che non sono del mestiere e che spesso non sono neppure inclini a intervenire in pubblico. Avevo, in pochi minuti, suggerito di meditare sul mare (che si stendeva, calmo e luminoso, ai nostri piedi nella piazzetta antistante l’hotel): e ben presto nelle due soste successive i semini gettati hanno suscitato un’abbondante raccolta di considerazione sul tema.
Il giorno dopo si sono svolti tre laboratori di con-filosofia.
Giorgio Gagliano ha condotto un seminario assai suggestivo sulla teoria platonica del Bello assoluto, talmente assoluto da non essere percepibile direttamente da noi umani ma che pure si riflette sull’intero universo: una teoria che, a suo parere, consente di leggere in profondità il film di Sorrentino su “La grande bellezza”. Luigi Lombardi Vallauri ha esposto, col rigore intellettuale e la verve umoristica ben noti, le sue tesi “animalistiche”, illustrando con efficacia le ragioni etiche per un rispetto dei nostri fratellini senzienti minori che possa arrivare alla scelta del vegetarianesimo o, addirittura, del veganesimo. Un interesse straordinario ha poi suscitato la riflessione di Orlando Franceschelli sulla spiritualità, sobria ma ben solida, di un ateo o piuttosto (come ha preferito autodefinirsi in positivo) di un “naturalista” che ritiene di avere una interpretazione “plausibile” (se non “vera” del mondo) e di essere disposto a dialogare con chiunque sia portatore di visioni-del-mondo altrettanto “plausibili” (cioè non in contrasto con le certezze scientifiche e costruite con una coerenza logica minimale).
 I tre pensatori-ospiti hanno avuto, per così dire, uno spazio di ripresa e approfondimento delle rispettive proposte. Giorgio Gagliano già la sera stessa di venerdì 2 con una conversazione su J. S. Bach al Teatro comunale di Castellammare. conversazione preceduta e seguita da sue esecuzioni musicali davvero toccanti sia con il pianoforte che con il violino. Alla fine il mio giovanissimo amico era davvero stremato, ma raggiante, per gli applausi  sinceri e insistenti.
   Luigi Lombardi ha allargato lo sguardo meditativo dal regno animale al paesaggio marino nel corso della meditazione prevista il mattino dopo; una meditazione in contemporanea con la meditazione di Orlando Franceschelli (a partire da “La ginestra” di Giacomo Leopardi) nella quale egli ha potuto per così dire esemplificare in una testimonianza storico-esistenziale ciò che può essere la spiritualità di un “laico “.
  Nella seconda parte della stessa mattinata Davide Miccione ha tenuto, in plenaria, una davvero brillante conversazione su che cosa sta succedendo (ed è bene che continui a succedere) in molti filoni della filosofia contemporanea. A partire dal suo denso “Ascetica da tavolo. Pensare dopo la svolta pratica” (Ipoc, Milano), egli ha mostrato le ragioni per cui va maturando un’insofferenza crescente non verso il modo accademico di fare filosofia (che è pur un modo necessario e legittimo), ma verso la pretesa accademica di avere il monopolio esclusivo del modo di fare filosofia. Molto in sintesi, Miccione ha evidenziato il passaggio dalla filosofia (come sostantivo che segna orti privati gelosamente circoscritti) al filosofare (come verbo, come processo, che indica un movimento rispetto a cui tutti e tutte, indipendentemente dalla nostra collocazione sociale e professionale, siamo titolari di diritti e di doveri).
  Un’altra assemblea plenaria, questa volta nel pomeriggio (e nella splendida cornice del castello normanno che dà il nome alla città che ci ha ospitato), è stata convocata per sperimentare un’altra ‘pratica’ filosofica: la “disputa a due”, il confronto dialettico. Tema del “contendere”: cosa rende simili, e cosa irriducibilmente dissimili, il mestiere dello psicoterapeuta dal mestiere del consulente filosofico. Marta Mancini (attuale presidente nazionale di “Phronesis”) è stata molto brava nel marcare il territorio della consulenza filosofica diradando ogni equivoco su presunti intenti terapeutici: il filosofo non fa diagnosi e tanto meno prescrive cure, ma si offre come specchio per chi voglia dialogare con qualcuno che lo aiuti a riflettere da altri punti di vista sui grovigli esistenziali che sta (eventualmente) attraversando. Ma Pippo La Face non è stato meno bravo nel de-costruire l’immagine diffusa (e non sempre  a torto) dello psicologo come “a metà fra lo sciamano e l’ortopedico”, rivendicando per la sua professione uno sguardo olistico che non trascuri il contesto socio-culturale nel quale in paziente si trova a vivere e a soffrire. La sua conclusione – più o meno esplicita – è stata (o è sembrata ad alcuni di noi) che lo psicoterapeuta può fare ciò che fa un consulente filosofico e, in più, ha a cuore il vissuto psichico ed emotivo del paziente: una conclusione che ha entusiasmato psicologi e clienti (attuali o potenziali) presenti, lasciando nella loro “filosofica” perplessità i consulenti filosofici presenti. In successive (auspicate) occasioni sarà dunque consigliabile esplicitare in quale accezione semantica la “terapia” viene esclusa dal consulente filosofico e in quale altra viene, invece, inclusa: perché evitare di “curare” in senso medico non significa, tout court, rinunziare all’esercizio filosofico come “terapia della mente” (quale l’intendevano Platone, Seneca o Wittgenstein). Sullo sfondo resta, poi, la differenza fra chi sta male ‘sentimentalmente’ e chi ha le idee confuse ‘razionalmente’: il primo se ne accorge e chiede aiuto, il secondo – se è davvero confuso – è convinto di vedere bene e di non aver bisogno di nessuno. Solo una buona consulenza filosofica lo potrebbe convincere dell’opportunità di chiedere una…consulenza filosofica.
 La sera di sabato 3, dopo cena,  si sarebbero dovuti svolgere quattro caffè filosofici in quattro bar della città ma il programma è stato sconvolto dall’irruzione della finalissima di Coppa Europa fra Juventus e Real Madrid. Si è provato a ripiegare su un’alternativa: anziché quattro caffè filosofici, un unico incontro presso l’hotel Al Madarig. Ma i partecipanti, all’inizio in numero contenuto, sono andati aumentando man mano che la Juventus subiva palloni in rete: e non mi è sembrato che l’ottimo David Miccione sia stato in grado di gestire la strana emergenza. Tra l’altro ho avuto la pessima idea di proporre che il neo-gruppo si accordasse su un tema a piacere al posto di uno dei quattro previsti nel caso ci si fosse riuniti separatamente: e ciò ha comportato lo spreco di almeno mezz’ora nel mettersi d’accordo su di esso. Che ci siano situazioni in cui l’adeguamento democratico alle opinioni dei molti risulti dannoso proprio al bene comune? Insomma l’esperimento dei quattro caffè in un’unica sessione mi è sembrato (per molti versi) fallito. A riprova di quanto fra filosofi-in-pratica ci ripetiamo da tempo: che la filosoficità di un evento (la quale dipende dalla professionalità del conduttore ma almeno altrettanto dal buon senso dei partecipanti) non è mai garantita a priori, può essere solo misurata a posteriori.
  Domenica 4 la maggior parte degli iscritti si è concessa una gita molto bella (ma anche molto stancante) alla Riserva naturale dello Zingaro. Con ammirevole coraggio, dopo sette ore di sole e di mare, i nostri eroi hanno avuto la forza di partecipare alla tavola rotonda che ha concluso – potremmo dire a meraviglia – questo festival.  Come ha ben spiegato nell’introduzione Francesco Seminara, leader del “Gruppo noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”, ci si proponeva di analizzare la violenza sulle donne da angolazioni disciplinari differenti per averne un quadro descrittivo e interpretativo quanto meno incompleto possibile. E il risultato non ha in nulla deluso le attese. Ha iniziato Stefano Ciccone, fondatore del movimento nazionale “Maschile plurale”, che – riprendendo in parte i temi da lui esposti magistralmente nella conferenza tenuta nel Castello al secondo giorno del Festival  sulla possibilità di essere maschi senza essere maschilisti – ha mostrato con grande efficacia la necessità di risalire dagli episodi di cronaca quotidiana ai “modelli culturali” (condivisi da tutti e da tutte, non solo dagli uomini maltrattanti) secondo i quali il maschio è tale in quanto protegge, e per ciò stesso controlla e domina, la donna. Con la lectio magistralis di venerdì che nella tavola rotonda di domenica Stefano ha avuto la possibilità di offrire non solo una splendida testimonianza di vita ma anche una sintesi fluida e fruibile del suo importante (anche se per molti lettori troppo impegnativo) volume “Essere maschi tra potere e libertà”. Ma quali sono le radici filosofiche del maschilismo rilevato fenomenologicamente dalla sociologia e dall’antropologia culturale (cioè dall’angolazione prescelta da Stefano)? La risposta è venuta dalla nitida e profonda relazione di Chiara Zanella sulla “filosofia della differenza” con particolare riferimento al contributo di tre esponenti decisive del pensiero femminile e femminista: Simone de Beavoir (compagna di J. P. Sartre), Luce Irigeray e Adriana Cavarero. Dopo il punto di vista della sociologia e della filosofia ho inserito il punto di vista della teologia (laica) ricordando, sulla scia del mio libretto “Tenerezza. Hanna Wolff e la rivoluzione (incompresa) di Gesù di Nazareth”, che la condizione di sudditanza della donna nel mondo ebraico-cristiano è stata anche effetto di un’immagine di Dio come maschio-padre-padrone: l’immagine di un Patriarca proiettata in cielo che legittima, e conferma, efficacemente il patriarcato in terra.
  Aurora Mineo, psicoterapeuta di vasta esperienza proprio in questo ambito problematico, ha sottolineato la complicità “oggettiva” di molte donne che, anche secondo la letteratura specialistica, stentano a rompere il “circolo vizioso”  che le lega al maschio maltrattante nell’illusoria convinzione di avere le armi psicologiche per convertire il partner a modalità di comportamento accettabili. L’esposizione teorica di Aurora è stata corroborata dal racconto efficace di un caso clinico di donna maltrattata, da lei stessa accompagnata alla separazione definitiva dal marito violento.  La tavola rotonda si è conclusa con l’intervento del pedagogista Giuseppe Burgio che, con ammirata competenza e notevole efficacia comunicativa, ha spiegato la necessità di rivedere radicalmente i processi formativi affinché la “maschilità” (in tutte la gamma delle sue possibili versioni, dal giovane gay all’anziano saggio in carrozzella) sostituisca il modello unico della “virilità” (maschio bianco, giovane, sano, bello, aggressivo, dominatore, vincente…che “non deve chiedere mai”).
  Come altre volte, mi è capitato ancora una volta di sentirmi  chiedere come riesca a radunare - da ogni parte d’Italia nello stesso luogo-  tanta bella gente. Non posso negare, per falsa modestia, di riconoscermi il merito di saper alimentare (non senza un impegno quotidiano talora gratificante, talaltra faticoso)  le relazioni umane quando incontro persone valide, significative, autentiche. Ma se spesso questi appuntamenti riescono così bene è, soprattutto, perché le persone più interessanti sono di solito le più interessate a occasioni di riflessione critica e di confronto dialogico (insomma vivono con curiosità più che con fastidio il rapporto con l’alterità nella fase attuale di difficile ricerca di riferimenti valoriali). E' la filosofia-in-pratica, al di là delle qualità soggettive positive e negative, ad attrarre le persone belle che si auto-selezionano: la filosofia-in-pratica come nuova, antichissima, spiritualità laica.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com



1 commento:

Bruno Vergani ha detto...

Oggi nel ruminare l'incontro con il valoroso Orlando Franceschelli ho scritto:

E il profumo del suo fiore nell’irrompere ridimensiona la gloria dell’inorganico. Da dove sarà mai arrivata ‘sta ginestra? Chi l’avrà attivata? Forse un qualche pensiero? Una qualche intenzione ne è la causa prima? E di chi?
Non lo so ma non mi preoccupo, in fin dei conti dettagli secondari, il dato portante è la realtà del suo accadere.