domenica 6 dicembre 2020

MA DAVVERO LA POLITICA NAZIONALE DISCRIMINA IL MERIDIONE ITALIANO ?

 

“Il Gattopardo”

                                                           Novembre 2020


MA DAVVERO IL SUD E’ DISCRIMINATO DALLE POLITICHE NAZIONALI ?

Non sono in grado di esprimere giudizi tecnici, ma ritengo che se un ex-direttore del “Sole 24 Ore” pubblica un libro di politica economica qualche attenzione la meriti. Mi riferisco a  La grande balla di Roberto Napoletano, sottotitolo: Non è vero che il Sud vive sulle spalle del Nord, è l’esatto contrario. L’autore cita dati impressionanti: “Quanti cittadini sanno che sessantun miliardi dovuti al Sud vengono ogni anno regalati al Nord? Si tratta del più grande furto di Stato mai conosciuto nella storia recente della Repubblica italiana. Sapete a quanto ammonta la spesa per infrastrutture nel Mezzogiorno? Lo 0,15% del Pil, praticamente è stata azzerata. Intanto al Nord c’è un insegnante ogni dieci studenti, al Sud gli studenti sono venti per ogni professore. Questo Paese aspetta da almeno dieci anni la sua operazione verità sulla ripartizione territoriale della spesa pubblica e una manovra di bilancio che metta al centro gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno. O si fa questa manovra o si continuerà a galleggiare in acque sempre più agitate e, prima o poi, l’Italia imbarcherà tanta di quell’acqua da mandare alla deriva il Sud e consegnare il Nord su un piatto d’argento a francesi, tedeschi, cinesi e russi”.

     E’ importante che questi dati siano ripresi e sottoposti al dibattito pubblico. Lo ha fatto di recente il presidente dello SVIMEZ, Adriano Giannola, ribadendo che “"il Nord ha sottratto al Sud 60 miliardi all'anno", quasi a conferma di quanto sosteneva già mezzo secolo fa Piersanti Mattarella, tra i meno ‘provinciali’ dei presidenti della Regione siciliana: “Indipendentemente dal fatto di esserci o non esserci un problema del Mezzogiorno, c’è un problema di «antimezzogiorno», che crea la necessità di una politica meridionalistica”. 

    Va preso atto delle obiezioni che a queste tesi vengono rivolte da studiosi non meno accreditati, come Giampaolo Galli e Giulio Gottardo dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani: a loro parere, se non si tiene conto di quanto lo Stato spende al Nord attraverso le imprese a partecipazione statale (come Eni, Enel, Poste Italiane e Leonardo) che operano con criteri di mercato né delle pensioni più alte perché relative a stipendi più alti riscossi nei decenni di servizio attivo, il Meridione non risulta discriminato. Anzi, se si considera che per il costo della vita un euro al Sud ‘vale’ più che al Nord,  il Meridione può considerarsi favorito.  

     Al di là delle differenze di analisi, tutti gli esperti concordano comunque su una certezza: la quantità di denaro è meno decisiva del modo in cui lo si investe. Se ci sono sperequazioni nella spesa pubblica, vengano corrette; ma resta a noi cittadini del Sud - imprenditori, sindacalisti, intellettuali e soprattutto amministratori  -  la responsabilità di impegnarci a migliorare la qualità dei servizi essenziali.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

1 commento:

Elio Rindone ha detto...

Ricevo da Elio Rindone: “Dati falsi, problemi veri: lezione per il Recovery”
di Carlo Di Foggia | 7 DICEMBRE 2020

Fabrizio Barca. È stato tante cose, economista all’Ocse e alla Banca d’Italia, ma soprattutto tra i massimi esperti di coesione territoriale al Tesoro (e ministro con Monti). Oggi anima il Forum Disuguaglianze, impegnato in 16 giorni di dibattiti online sulle priorità strategiche per l’Italia con esperti di alto livello. Un vero programma politico.

Serve ancora parlare del Sud?

Sì, quel che serve al Sud serve all’Italia. È banale quanto vero e vale in tanti ambiti. Prendiamo la lotta alla povertà educativa, l’incapacità della scuola di livellare le opportunità: serve maledettamente a tutto il Paese, ma colpisce più il Sud. Idem per gli asili nido. Investire sulla scuola aiuta il Meridione.

Cosa non funziona al Sud?

È un bullone allentato nel patto sociale tra cittadini e istituzioni che si scarica nella cattiva qualità dei servizi fondamentali. La Repubblica – dice la Costituzione (art. 3) – deve rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona ma al Sud lo fa senza lo Stato, a cui sopperisce la collettività organizzata come cittadinanza attiva. Se lo sforzo non è corale, il cambiamento non è strutturale. Si è visto col Covid. Una preside campana ci ha detto una cosa stupenda sugli studenti: “Siamo andati a riprenderli”, dopo la chiusura delle scuole. Lì la Repubblica ha rimosso gli ostacoli con lo Stato. Succede, ma non è sistematico al Sud.

Perché sul Meridione i pregiudizi abbondano?

È una narrazione che affonda nella stagione degli anni 70 e 80, quando si è speso molto ma non bene. L’economista Carlo Trigilia ha fatto un bilancio che condivido: gettammo soldi sul problema, senza modificare in modo strutturale il funzionamento. La spesa fu consegnata alle autorità locali, svilendone il ruolo a meri dispensatori di risorse. Ma quella storia è finita a metà degli anni 90. Ne nacque una stagione di grande rinnovamento, quella dei sindaci, una classe dirigente che fece grandi cose. Un processo che ebbe impatto anche nelle amministrazioni regionali, dalla Campania alla Puglia. Con Ciampi ottenemmo uno straordinario miglioramento nell’uso dei fondi comunitari, che venne incoraggiato da un meccanismo nazionale di premialità che distribuì 4 miliardi in base alle riforme amministrative. Non siamo però riusciti a cambiare rotta, a dare impulso alle classi dirigenti a produrre un cambiamento duraturo. La politica nazionale criticò i sindaci, li chiamavano “le cento padelle”. Svilì e inibì quelle figure. La svolta non ci fu perché migliorammo la spesa dei fondi Ue, ma non intaccammo il grande corpo della spesa ordinaria. E così è rimasta la narrazione tossica del Sud sprecone, falsa più che mai: è fortemente sotto-finanziato.

(...)
La lotta alla povertà è un vostra priorità strategica. Oggi il Reddito di cittadinanza è sotto tiro.

È stato fondamentale. Va solo corretto, non buttato. Il dibattito è guidato da ideologismi nefasti. Nel Pd è penetrata un’avversione alla povertà figlia della cultura neoliberista che considera dignitoso il lavoro precario ma non l’aiuto dello Stato a chi non ce la fa.