sabato 26 dicembre 2020

PERCHE' DON PAOLO FARINELLA, MIO AMICO PRESBITERO A GENOVA, NON CELEBRA LA LITURGIA NATALIZIA

NON-NATALE A SAN TORPETE

Per il terzo anno consecutivonon celebriamo il Natale a San Torpete in Genova. Non solo teniamo la

chiesa chiusa, ma non ci mancano proprio i riti e le nenie, specialmente dopo avere assistito alle neuropsichiatriche diatribe su «Messa a Mezzanotte – rubare il Natale ai Bambini – Giù le mani dal Natale» e mascalzonate simili di chi non è mai andato a Messa nemmeno la sera Natale, ma ora è buono per fare cagnara, tanto a qualsiasi ora sia la Messa, non gliele importa un fico secco. O da parte di cattolicanti, ignoranti della loro stessa religione.

Di fronte a queste oscenità, figlie primogenite di ignoranza, mi sarei aspettato che i vescovi, a una sola voce, avessero obbligato i preti a chiudere tutte le chiese e chiesuole e avessero messo il bavaglio di ferro a chi avrebbe avuto il coraggio di cantare in gregoriano ninne-nanne e canti rincitrulliti, come se la Chiesa avesse il mandato di fare divertire gli adulti con la scusa che si divertono i bambini. Matilde di sei anni ha detto alla mamma: e non pensare che io venga a messa, non ci vado io perché i preti poi mi obbligano a sposarmi e io non voglio sposarmi. Poiché ero presente, le ho detto che faceva bene e che lei aveva diritto di non andare perché non ci vado pure io.

È ora di finirla con queste favolette da strapazzo che ci ninnanannano, sapendo che è un modo per esorcizzare, vanificandolo il pugno nello stomaco del messaggio del Vangelo, obbligandoci a deciderci dove stare: «o di qua o di là». Presepiare il Cristianesimo con statuine di bambini Gesù acqua e sapone, riccioli d’oro e occhi celesti, alla svedese, è un insulto verso quel bambino «nato da donna, nato sotto la Toràh» (Gal 4,4), olivastro di pelle, bassotto di statura, occhi scurissimi e capelli castani crespati, tipico palestinese di un tipico anno comune, il 4 o 6 a.C. Sappiamo che è nato, ma non sappiamo quando, dove e come.

Betlèmme è «luogo teologico», non storico, come anche la fuga in Egitto e la strage degli innocenti. Quando i vangeli sono messi per iscritto (fine secolo I d.C. dal 70 in poi), circolavano già da decenni gli «apocrifi», forme di agiografie inventate, storielle piene di miracoli allo scopo di suscitare la fantasia, come oggi le nostre fiabe per bambini. Questa sovrabbondanza di «soprannaturale miracolistico» fu il solo motivo della loro esclusione dal canone dei Libri Sacri, nei quali rimasero solamente quattro narrazioni, semplici, austere e senza eccessi divini.

I cristiani «una tantum» non sanno nulla, ma si basano su ricordi infantili da catechismo fatto da pie donne, buone mamme o donne di buona volontà, ma senza alcuna formazione. Qui sta il dramma: esse hanno timbrato a fuoco secoli di ignoranza abissale. I vescovi non vogliono capire e non si rendono conto che lo svuotamento delle chiese, il cui risultato finale sarà la chiusura ermetica delle chiese, è un potente «segno dei tempi» che deve costringere a buttare tutto all’aria per salvare l’anelito di spiritualità, che la Chiesa non è più in grado di capire e d’intercettare. Siamo fermi al rito, ai luoghi, agli orari. Siamo morti. Siamo per di più morti inutili.

Questo Natale doveva essere una sontuosa celebrazione in silenzio, un silenzio mostrato «urbi et orbi», buttando tra gli orpelli idolatrici ogni rituale insensato, le vesti dei vescovi, anacronistici satrapi persiani del sec. VI a.C., ridicoli attaccapanni col berretto a punta, come un missile che romba per schizzare in orbita. Per dire al mondo: Silenzio, passa Gesù il perturbatore dellordine costituito. Il messaggio del Vangelo urlato nel più assoluto silenzio con simili parole:

Tutto quello che facciamo a Natale è invenzione della religione per accarezzare il consenso delle plebi ignoranti che non vogliono pensare né crescere. Gesù non è nato a mezzanotte e nemmeno in altre ore; non lo sappiamo. Se fosse nato a dicembre, non ci sarebbe stata neve, perché in Palestina, la temperatura sfiora i 25 gradi. Abbiamo costruito la nostra favoletta, utile alla religiosità di comodo. I vangeli che parlano di Gesù bambino sono un anticipo di quello che quel bambino sarà: un rivoluzionario, un disobbediente, un disturbatore dell’ordine sociale, un contestatore della religione, la sua religione, un raccatta fallimenti, amico di prostitute, donne, derelitti, lebbrosi, briganti, malati mentali e bambini, lo scarto ignominioso della società dell’epoca che lui dichiarò «Beati e prediletti da Dio». Per essere visto e ascoltato da tutti, dice Matteo, «salì sul monte», esattamente come Mosè «salì sul monte di Dio» per ricevere le tavole della Toràh.

È la «teo-drammatica» (Urs von Balthasar). I vangeli non sono scritti di Gesù, ma scritti di innamorati di Gesù che invitano altri ad innamorarsi di lui e per questo, pescando nel ricordo della vita vissuta di Gesù stesso, raccolgono il suo messaggio e lo divulgano, racchiuso in una espressione semitica concentrata, cioè «il regno di Dio», che non è l’aldilà o la vita eterna o il paradiso, altre favole che ci siamo regalati per aggiustare il mondo secondo la nostra giustizia di vendetta. In bocca a Gesù «Regno di Dio» significa: «nuovo modo di relazionarsi tra le persone e tra i popoli». Perché tutto è centrato sulla relazione? Perché se lasciamo fare la natura e l’istinto noi saremmo violenti, sopraffattori, rapinatori, uccisori seriali, egoisti satanici. Solo la relazione «umana» ci salva perché essa ha bisogno della mediazione del pensiero che, a sua volta, si forgia nella consapevolezza della responsabilità della coscienza. Non a caso «conversione» nei vangeli è detta «metà-noia», cioè andare oltre fino al pensiero (gr. noûs) per modificare i criteri di pensare, le valutazioni delle scelte, in una parola discernimento.

Tu, preso in te stesso, sei il mio limite (Jean Paul Sarte, Essere e il Nulla) e io «devo» distruggerti per affermare la mia libertà. «Il regno di Dio» (Vangelo), mi spiega che il tuo limite demarca la mia conoscenza e la mia identità perché non saprei di esserci se non ci fossi tu a dirmi che sono altro da te. Dunque, noi esistiamo «reciprocamente». Non è tolleranza, parola obbrobriosa per il Vangelo, ma accettazione, accoglienza dell’altro come parte migliore di me perché rivelatore della mia piena e profonda identità.

Questo è il Natale, questo è il Vangelo: andare per le strade e riconoscere in ognuno un pezzo di sé, offrendo se stessi come specchio di identità: «Fratelli tutti», ovvero «Fraternité Égalité Liberté». Vangelo puro.

 PAOLO FARINELLA PRETE

 paolo@paolofarinella.eu


7 commenti:

Unknown ha detto...

Parole sante. Ma la religione senza canti e senza riti ripetitivi funzionerebbe per i fedeli?

Mauro Avi ha detto...

Wow, questo sì che è parlare: lasciar parlare il messaggio evangelico!

Unknown ha detto...

Parole che indubbiamente colpiscono.
Grazie don Paolo

Bruno Vergani ha detto...

Rispetto alla chiusa denuncia sovverte e propone incommensurabilmente di più.

gabriella ha detto...

Grazie per il messaggio che andrebbe divulgato ed espanso per fare comprendere che Gesù ha pienamente vissuto la Vita, che è Dio, in ogni peculiarità intuita ed a noi mostrata.

Unknown ha detto...

Che pena ...

marcella52 ha detto...

mi aggancio al post di Gabriella. Lei dice "grazie per il messaggio che andrebbe divulgato....." Ma se la persona in questione è un sacerdote, perchè chiude la chiesa anziché lasciarla aperta per spiegare e divulgare il vero messaggio evangelico, per educare il "popolo di Dio" a vivere davvero cristianamente la propria fede? Conosco tanti sacerdoti che lo fanno con tanta fatica. Personalmente preferisco loro.