venerdì 6 gennaio 2023

PER UN CRISTIANESIMO SENZA RELIGIONE. LA PROPOSTA TEOLOGICA DI DON BRUNO MORI

 

"Il Tetto"

Dicembre 2023 - 351-352

Bruno Mori, Per un cristianesimo senza religione. Ritrovare la “Via” di Gesù di Nazaret, Gabrielli Editori, san Pietro in Cariano 2022, pp. 254, euro 18,50.


Secondo la tesi ripetuta nei testi scolastici e catechistici Gesù è il fondatore di una nuova religione: il cristianesimo. Se così fosse davvero, un libro come questo di Bruno Mori (un prete appartenente all'Ordine religioso dei Canonici Regolari), intitolato Per un cristianesimo senza religione. Ritrovare la “Via” di Gesù di Nazaret (Gabrielli Editori, san Pietro in Cariano 2022), sarebbe una contraddizione in termini. Ma l'autore, con molta perizia e altrettanta pazienza, sostiene che nel Secondo Testamento i primi cristiani parlavano della loro vita, del loro movimento spirituale, come di una “Via” (cfr. Atti degli Apostoli: 9,2; 16,17; 19,9; 22,4; 24,14). E che solo attraverso una serie di metamorfosi avvenute nei primi cinque secoli (dal Concilio di Nicea del 325 al Concilio di Calcedonia del 451)si è realizzata  la costruzione della religione cristiana, con i suoi Testi sacri, la sua Gerarchia, il suo Magistero, la sua Liturgia. Si è trattato, come ancora sostiene qualche apologeta, dell'esplicitazione di ciò che era implicito nel seme originario? Mori pensa di no e, per evitare di essere equivocato, lo afferma in una pagina cruciale con una contrapposizione - fra il messaggio originario (quale traluce fra le pagine del Secondo Testamento) e il cristianesimo storico - che potrebbe essere sfumata, ma che sostanzialmente mi pare veritiera:


Nessuna religione ha tanto offeso la memoria di Gesù di Nazaret quanto la religione cristiana. Tutto ciò che Gesù ha condannato, la religione cristiana lo ha approvato, adottato e praticato. Tutto ciò che Gesù ha proposto, la religione cristiana lo ha rigettato. Tutto ciò che Gesù ha raccomandato, la religione cristiana lo ha disapprovato. Tutto ciò che Gesù ha affermato, la religione cristiana lo ha nei fatti negato. Tutto ciò che Gesù ha desiderato per i suoi, le autorità religiose cristiane lo hanno rifiutato per loro stesse.

Invece di stare dalla parte dei deboli, dei poveri e degli oppressi, come Gesù aveva fatto e domandato, la religione cristiana ha sempre cercato di mettersi dalla parte dei ricchi, dei forti, dei potenti, dei conquistatori e degli oppressori. Invece di occupare i posti più semplici e più umili, i rappresentanti della religione cristiana hanno sempre voluto occupare i seggi più importanti, più alti e più vistosi. Invece di adottare l'atteggiamento della disponibilità e del servizio, i capi della religione cristiana hanno sempre preferito assumere lo stile del potere, dell'autorità e del prestigio che si fa servire, riverire, onorare, ossequiare e venerare” (p. 98).


Sono accuse, o auto-denunce, ormai molto frequenti sulle labbra di teologi, preti e perfino papi. L'originalità di questo libro sta nella precisione chirurgica (possibile solo a chi ha il coraggio intellettuale di dire ciò che pensa perché non ha né cattedre né altri ruoli istituzionali da mantenere) con cui l'autore indica la radice teologica (teorica) di queste perversioni etiche (pratiche): la divinizzazione dell'uomo Gesù. Una Chiesa che si è progressivamente convinta di fondarsi non sulla predicazione di un semplice Rabbi, per quanto carismatico, bensì sulla volontà di Dio stesso fattosi uomo (secondo il dogma irriformabile, Gesù sarebbe una persona con due nature: una persona divina, che, senza cessare di essere tale e senza abbandonare la natura divina, avrebbe iniziato in un determinato tempo a partecipare anche alla natura umana, senza con ciò diventare una persona umana), come avrebbe potuto atteggiarsi in maniera misurata, paritetica, con le altre confessioni religiose mondiali e le istituzioni politiche di ogni risma e colore?

Bruno Mori osserva dunque che


il mito dell'incarnazione e della divinità di Gesù, che per secoli è stato la struttura portante della Chiesa, rischia ora di essere ciò che la farà crollare. La Chiesa costantiniana del quarto secolo non poteva immaginare che, volendo onorare ed esaltare Gesù di Nazaret in questo modo, sarebbe riuscita solo a renderlo un giorno pericoloso per essa e completamente irrilevante per altri” (p. 75).


Per uscire da questo vicolo cieco, l'autore suggerisce, per “rendere accettabile oggi il mito cristiano dell'Incarnazione”, di


interpretarlo come una metafora o un simbolo dell'incarnazione nell'Universo dell'Energia «attrattiva» di Fondo che, scaturita dalle profondità abissali e insondabili di un Mistero cui si è dato il nome di «Dio», crea, sostiene e pervade tutta la Realtà cosmica. Questa Energia «amorevole» di fondo si manifesterebbe in modo specifico in ogni entità fisica intelligente e autocosciente. Però si sarebbe manifestata in una forma e in un grado particolarmente sublimi, intensi e vivaci in Gesù di Nazaret” (p. 78).


Queste diatribe teologiche potrebbero suonare astratte, quasi di lusso per intellettuali dalla pancia piena. In realtà, secondo Mori, esse hanno forte incidenza sulla vita concreta delle persone sia tra chi crede di credere (per citare Gianni Vattimo) sia fra chi crede di non credere.

Le prime, infatti, potranno scoprire che


la Via conduce chi la percorre non a credere in Gesù, come esige la religione (credere che sia il cristo, il messia, il figlio di Dio incarnato, la seconda persona della trinità, il redentore e salvatore del mondo, ecc.), ma piuttosto credere come Gesù, cioè a realizzare una forma di esistenza ispirata dal suo spirito e dalle sue convinzioni” (p. 240).


Le seconde, poi, potranno scoprire che il loro scetticismo nelle questioni metafisiche, la loro estraneità alle tematiche teologiche, la loro diffidenza verso tutto ciò che sa di candele e di incenso, non sono – di per sé – motivi per tenersi alla larga dalla figura di Gesù (del Gesù neotestamentario, l'unico di cui abbiamo notizia): questi, infatti, si è contraddistinto per “una totale «laicità»”:


Non appare mai come il fondatore di una religione. Non ha mai stabilito o fissato spazi o tempi sacri. Non ha mai promulgato rituali per il culto. Non ha mai «ordinato» preti. Non ha mai incoraggiato i suoi seguaci a frequentare le sinagoghe, i luoghi di culto, a recitare preghiere, a offrire sacrifici, a digiunare, a osservare il sabato o altre prescrizioni della tradizione rabbinica. [] Ciò che caratterizza la personalità di Gesù è il suo carattere fondamentalmente umano, che cerca di umanizzare sempre più coloro che lo avvicinano. [] Gesù fa parte del patrimonio dell'umanità. E' un bene universale. E' un capolavoro che tutti possono ammirare e al quale tutti possono fare riferimento. [] Possiamo riassumere tutto questo dicendo che, alla fine, grazie a Gesù, abbiamo capito che la nostra relazione con il divino è possibile solo nell'umano” (pp. 225 – 226).


Se, nonostante questo stile “secolare” di Gesù, alcune o molte persone se ne vogliono tenere lontano, non può costituire un problema per nessuno. I grandi modelli dell'umanità non hanno bisogno di discepoli né di imitatori; siamo noi che possiamo trarre giovamento dalla conoscenza delle loro personalità, dei loro messaggi, delle loro azioni, per trarne ispirazione e sprone. Proprio lo studio attento dei racconti evangelici ci insegna che non ha importanza dirsi credente o miscredente o agnostico: ha importanza vivere la sincerità, la solidarietà, la tenerezza, il servizio del Bene comune. Sono pregi che qualificano le donne e gli uomini più evolute/i che, dunque, si ritrovano un passo avanti rispetto alla media dell'umanità attuale. Che sappiano o meno di essere in compagnia di Gesù e di altri modelli prolettici della storia del pianeta non fa nessuna differenza.

Chiarito tutto ciò, non si può fare a meno di precisare che simili prospettive “post-religionali” non sono esenti da rischi. L'individualismo spontaneistico, effervescente ma inconcludente, fra i tanti. Il superamento della religione-gabbia non deve necessariamente coincidere con l'abbandono di ogni esercizio (“ascesi” in greco), di ogni pratica, di ogni auto-aiuto comunitario. Bruno Mori lo accenna qua e là, ma si tratta di spunti che meriterebbero d'essere ripresi e sviluppati: abbandonati i vecchi gesti stereotipati, occorre “inventare gesti più in linea con la sensibilità e la cultura degli uomini” del nostro tempo (p. 232); “trovare il coraggio e l'audacia di uscire dalle nostre chiese, se vogliamo celebrare veri riti di ringraziamento e di «comunione» (p. 133); “inventare «ambienti» più naturali, più congeniali, più tonificanti, più propizi al silenzio e alla riflessione”; “nuovi «riti», che si possono celebrare da soli o in piccoli gruppi, nella natura, nei campi, nei parchi, nei boschi, sulle rive di un fiume, su una spiaggia di fronte all'immensità dell'oceano, durante un'escursione in alta montagna, al bagliore di un'alba o di un tramonto, nel silenzio di una notte stellata, o anche in un laboratorio di ricerca, in una clinica di maternità...” (ivi).

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com


4 commenti:

Bruno Vergani ha detto...

Se nel contesto non suonasse come una battuta, mi verrebbe da dire che per contenere i rischi dell’individualismo spontaneistico, aiuterebbe la creazione di una organizzazione comunitaria un minimo ordinata, insomma di una Chiesa; chi istituzionalizza ha anch’egli le sue buone ragioni. Il “cane sciolto” rischia isolamento e intimismo, l’appartenente ad una comunità rischia mancanza di libertà e sottomissione all’altro, rischi insiti, contenibili ma difficilmente eliminabili. Vero che i primi cristiani parlavano della loro vita, del loro movimento spirituale, come di una “Via”, ma se c’è stato bisogno del concilio di Nicea significa che già nella Chiesa primitiva le dispute tra cristiani erano presenti; inevitabili effetti collaterali di qualsiasi struttura comunitaria. Bastano quattro gatti che si mettono insieme e nascono problemi, come narrano i sinottici già gli apostoli, con Gesù presente, discutevano su chi fosse il più grande tra loro.

Anonimo ha detto...

A quanto detto dal testo proposto da Augusto, bisogna aggiungere che, come ormai acquisito da parte di tutti gli Studiosi seri, è da ritenere fondamentale l'ebraicità di Gesu'!

germano federici 1950 ha detto...

Le diatribe nelle prime comunità di seguaci hanno riguardato questioni di appartenenza, come la pratica della circoncisione. Occorre liberarsi da ogni segno esteriore per mettere al centro della spiritualità efficace il comandamento dell'amore fattivo, allargando così a tutta l'umanità la dimensione sacramentale (e non solo a un popolo prediletto potenzialmente omicida) e l'appartenenza a un unico destino di salvezza negato dall'extra ecclesiam nulla salus. Le figure profetiche (anche Gesù) si evidenziano con segni esteriori, che invece i seguaci quasi sempre banalizzano, rendendoli infine non solo vuoti ma addirittura pericolosi per gli altri, come il battesimo sul filo della spada costantiniana.

Mauro ha detto...

L' umanità di Cristo è evidente nei Vangeli sia sinottici che apocrifi.