martedì 30 settembre 2025

VALERIO GIGANTE SUL III VOLUME DELLA TEOLOGIA POPOLARE DI JOSE' MARIA CASTILLO

 

Gesù, la Chiesa, la resurrezione. Il terzo “quaderno di teologia popolare” di José Castillo

Gesù, la Chiesa, la resurrezione. Il terzo “quaderno di teologia popolare” di José Castillo


TRAPANI-ADISTA. È arrivata alla sua ultima tappa la pubblicazione, da parte dell’editore trapanese il Pozzo di Giacobbe, dei “quaderni di teologia popolare” redatti da José María Castillo, uno dei più importanti teologi del secondo Novecento e del primo ventennio del XXI. I quaderni, nati negli anni ‘70 nel contesto delle Comunità Cristiane Popolari e del movimento delle Comunità di Base, circolarono dapprima come dattiloscritti e solo successivamente vennero pubblicati dall’autore in Spagna, tra il 2012 e 2013. Dallo scorso anno, con il primo quaderno (La Buona Notizia di Gesù) è iniziata la pubblicazione in lingua italiana; dopo il secondo quaderno, che si intitola Il Regno di Dio, è ora stato pubblicato il terzo e ultimo volumetto, La fine di Gesù e il nostro futuro (il Pozzo di Giacobbe, 2025, pp. 136, €15; il libro può essere acquistato anche presso Adista, 06/6868692, abbonamenti@adista.it, www.adista.it/libri). Forse il più interessante, perché chiarisce ciò che i Vangeli – spiega Castillo in premessa – «dicono sulla fine della vita di Gesù come pure sul futuro che ci aspetta».

Castillo racconta che «gli osservanti religiosi (farisei e scribi) e i capi religiosi (sommi sacerdoti e anziani) si sono scontrati così duramente con Gesù» perché lui «non si è sottomesso, in obbedienza, agli obblighi e ai rituali che esigevano i sacerdoti del Tempio e i dottori della legge. Gesù è stato un uomo libero. Ed è stata la sua libertà, al servizio della bontà e della Misericordia, che ha portato alla morte». Perché nella predicazione “eversiva” di Gesù il fattore decisivo «non è la sottomissione dell'umano al Divino»; ma che «l'umano si liberi a tal punto dall’“in-umano” da farci conoscere il divino che si rivela nella nostra umanità».

Gesù viene fatto arrestare perché «la religione del tempio che ha il suo centro nei riti, da una parte, e la religione di Gesù che ha il suo centro nella condotta etica, dall'altra, sono incompatibili»; e i capi religiosi se ne erano accorti, almeno dal giorno in cui «Gesù è entrato nel tempio e ha detto che quel luogo sacro si era trasformato in un luogo di ladroni», criticando con durezza «non solo l'immoralità e la corruzione del personale del tempio, ma anche l'inutilità dei riti che ivi si celebravano».

Rispetto al tema della resurrezione, Castillo chiarisce che la concezione della separazione dell'anima e del corpo come di due parti che unite costituiscono le componenti dell'essere umano «non è altro che una teoria che in tempi molto antichi hanno avuto (e insegnato) i greci. Nella Bibbia non si parla affatto di questo. Il nostro corpo è una componente di noi stessi. Ecco perché la resurrezione non è la “separazione dell'anima del corpo”, bensì la “trasformazione” dell'essere umano nella sua totalità. Il che significa che la cosa più ragionevole è pensare che la resurrezione si verifica nel momento stesso in cui arriva la morte per noi». A causa della resurrezione – dice Castillo – Gesù «non ha smesso di essere “umano” e ha cominciato a essere “divino”». Piuttosto, «mediante la resurrezione Gesù ha raggiunto e reso reale la pienezza “dell'umano”. Dio lo ha costituito così “pienamente umano” che non poteva essere se non anche “pienamente divino”. Perché in Gesù Risorto, “il divino” e “l’umano” si fondono in uno».

Rispetto alla Chiesa, Castillo analizza il modello di comunità ecclesiale proposto da Paolo, che non conosceva i vangeli né aveva vissuto con Gesù. Il modello di Paolo è quindi fondato sulla cultura che conosceva, legata alla tradizione della sinagoga e ai rapporti di potere instaurati dai Romani. Il modello di Paolo è assai diverso dal modello di Chiesa proposto dai vangeli, che però sono arrivati successivamente alla predicazione dell’apostolo e hanno integrato il modello paolino senza riuscire a sostituirlo. Castillo citando Gerhard Lohfink sostiene che in ogni caso «il problema non è se Gesù abbia fondato la Chiesa, ma se la Chiesa sia fondata in Gesù». In questo senso nelle sue conclusioni il teologo riconosce a papa Francesco di aver incarnato «un modello di papa molto diverso da quelli precedenti», ma che questo non basta «a riorientare questa Chiesa e questo mondo».

Il problema più profondo che dobbiamo affrontare come credenti in Dio e in Gesù, secondo Castillo, è quello che ha saputo prospettare Dietrich Bonhoeffer quando teorizzò che il futuro del cristianesimo è il futuro di una fede senza religione. «È un fatto – spiega Castillo – che, nella misura in cui i popoli crescono economicamente si sviluppano il campo della tecnologia e della scienza, in quella stessa misura la religione si diluisce, le pratiche religiose restano indietro o al margine della vita». Dissolte strutture e liturgie, resta un'etica che realizzi attraverso la giustizia tra gli uomini l'incontro con il Dio che ci ha fatto conoscere Gesù. «Il compito delle prossime generazioni sarà quello di cercare strade e forme per realizzare concretamente questo progetto, come (stando ai vangeli) Gesù lo ha realizzato nella sua vita».

Valerio Gigante

Tratto da: Adista Notizie n° 34 del 04/10/2025

giovedì 25 settembre 2025

UNA BREVE CHIACCHIERATA CON DUE ALUNNI DEL LICEO "CANNIZZARO" SU GAZA & DINTORNI

Due ragazzi che, grazie al collega Tommaso Lo Monte, hanno conosciuto la nostra Scuola di formazione etico-politica "G. Falcone", hanno organizzato una conversazione a tre con una brava giornalista di "Repubblica". Qui di seguito il link al resoconto-video pubblicato (si può visionare gratis se si accettano un po' di cookies):

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2025/09/25/video/dalle_piazze_dei_no_alla_mafia_a_quelle_per_gaza_il_dialogo_tra_il_professore_e_gli_studenti-424870005/ 



sabato 20 settembre 2025

UN GESTO, ANCHE PICCOLO, DI SOLIDARIETA' PER L'AGENZIA DI STAMPA "ADISTA"

Da anni ho accettato l'invito dei colleghi ed amici dell'agenzia di stampa romana "Adista" (https://www.adista.it/) che pubblica le sue 3 testate sia on line che in formato cartaceo (su abbonamento).

Oggi mi è arrivato questo loro appello.

Lo giro sia a chi conosce questo benemerito avamposto della libertà di stampa sia a chi non lo conosce, affinché - se lo si ritiene opportuno - almeno ci si abboni per un anno.

Questo l'appello con le indicazioni necessarie:

"Cari amici di Adista,

Perdonate il disturbo, oggi vi chiediamo un sostegno un po' diverso dal solito, ma che per noi è davvero di vitale importanza.

Abbiamo lanciato, accanto ad altre iniziative (tra le quali la sospensione provvisoria dei nostri stipendi) una campagna di raccolta fondi su GoFundMe, perché i prossimi mesi saranno decisivi per la sopravvivenza della testata.

Vi chiediamo di far girare il più possibile tra i vostri contatti o sui vostri social network l'iniziatia, che trovate a questo link: https://www.gofundme.com/f/adista-60-anni-di-informazione-coraggiosa-e-indipendente

Per qualsiasi altra informazione ci possiamo sentire a voce.

Grazie ancora,

la redazione di Adista"

Giampaolo Petrucci
Adista
066868692
3335926979


martedì 16 settembre 2025

IL MASCHILISMO PATRIARCALE E' FERITO, MA NON SCOMPARSO

 Registrazione di un'intervista rilasciata a Chiara Conti dei "Cosmonauti" (Liceo "G. Garibaldi di Palermo") al termine di un seminario sul libro:




CLICCARE QUI PER L'AUDIO DELL'INTERVISTA:

https://padlet.com/cosmonautidelgaribaldi/uniti-contro-la-violenza-di-genere-2024-2025-zzdah7n7e621mv49

sabato 13 settembre 2025

ERA FASCISTA E, PER GIUNTA, OMOFOBO. E ALLORA?

Nel clima di odio pervasivo che avvelena attualmente l’atmosfera del nostro pianetino non possiamo permetterci né silenzi ambigui né parole fuori luogo. Perciò, chi si colloca in una prospettiva seriamente “nonviolenta” (che non è né genericamente ‘pacifista’ né ancor meno oscillante a fisarmonica tra violenze cattive e violenze buone), lo deve dichiarare chiaro e forte: l'assassinio di Charlie Kirk è da condannare come ingiustificabile, inaccettabile. Il killer era un povero squilibrato? Lo accerteranno i competenti.  Era davvero un antifascista e un avversario dell'omofobia? Se questo profilo verrà confermato dal prosieguo delle indagini, tali sue caratteristiche non costituiscono attenuanti, se mai aggravanti.

Quanti riteniamo di essere antifascisti e avversari dell'omofobia non possiamo  approvare la schizofrenia di chi, proclamandosi a voce democratico, nei fatti si comporta da odiatore intollerante. Assassinare un avversario politico - per quanto portatore di idee spregevoli ed esaltatore dell'uso privato delle armi come era Charlie Kirk - significa abbassarsi al suo livello morale, omologarsi alla sua indegnità etica. E, come se ciò non fosse già abbastanza autolesionistico, significa regalare alla Destra trumpiana (e alle sue numerose fotocopie diffuse nel mondo, Italia non esclusa) degli ottimi argomenti di propaganda elettorale.

Il ventiduenne Tyler Robinson – incensurato che ha inciso nelle pallottole omicide “Bella ciao” o “Fascista beccati questa” – è stato davvero mosso da motivazioni nobili o, per lo meno, ampiamente condivisibili? Non lo sa, né lo potrà mai sapere, nessuno. Ma la giustizia dei tribunali non è abilitata a leggere nelle coscienze: le basta, quando ci riesce con sufficiente approssimazione, valutare le azioni. E un delitto è un reato sia se un fascista ne è autore sia se ne è vittima. Non c’è nessuna ‘bontà’ del fine che giustifichi l’adozione di mezzi ‘pessimi’. In tutti i casi, colpire a morte un disarmato (o un armato che si possa fermare ragionevolmente senza ucciderlo) dal punto di vista etico è degradare il livello medio dell’intera umanità. Dal punto di vista politico, poi, è insano come illudersi che la soppressione di un sintomo equivalga alla guarigione dalla malattia: sappiamo che, al contrario, è proprio l’emergere alla vista di certe pustole o di altre anomalie a permetterci di misurare la gravità di un’infezione e di tentare di agire sulle sue cause profonde. Senza infantili scorciatoie.

Centro palermitano del Movimento Nonviolento

12.9.2025

Versione originale qui:

https://www.pressenza.com/it/2025/09/condanna-senza-riserve-dellomicidio-di-charlie-kirk/

e anche qui:

https://www.adista.it/articolo/74480

venerdì 5 settembre 2025

L'APPELLO CON CUI ALCUNI DI NOI PARTECIPERANNO ALLA MANIFESTAZIONE DI SUPPORTO ALLA FLOTTIGLIA

Domani, sabato 6 settembre 2025, al corteo dal Foro italico alla Cala, parteciperemo Andrea Cozzo, io e altri aderenti al Centro territoriale palermitano del Movimento Nonviolento. A chi ne farà richiesta, per sincero desiderio di informazione, consegneremo copia dell'appello che stiamo diffondendo in queste ore: 

                                                                                                                   "AL GOVERNO ISRAELIANO, AL GOVERNO ITALIANO

(IN APPOGGIO ALLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA)

«Signori componenti del Governo di Israele (e Governi occidentali, e italiano in primis),

avevamo intenzione di scrivervi già da qualche giorno e le recentissime dichiarazioni del ministro Ben-Gvir ci inducono a farlo senza ulteriormente perdere tempo.

 Come saprete, la Flotilla è fatta di donne e uomini, giovani e meno giovani, che con piccole imbarcazioni forse non proprio tutte adatte ad affrontare i pericoli del mare intende portare viveri e medicine agli affamati di Gaza, civili tra cui moltissime donne e moltissimi bambini di cui già un numero fin troppo elevato ha pagato e continua a pagare il prezzo di un conflitto che potrebbe essere risolto – che potrà essere effettivamente risolto solo – con il cessate il fuoco e il dialogo.

 È fondamentale chiarire che il battere bandiera palestinese va riferito al fatto che è a loro che portano cibo e farmaci perché sono loro a trovarsi nelle misere condizioni che tutto il mondo vede.

Chiariamo inoltre, senza mezzi termini, che noi e la Flotilla siamo del tutto distanti da qualsiasi idea di violenza (da qualsiasi parte essa possa provenire), figuriamoci di terrorismo come invece è stato detto! L’azione non intende essere nemmeno una sfida al Governo israeliano; intende solo portare a esseri umani ciò a cui in quanto tali hanno elementarmente diritto: sfamarsi e curarsi.

Chiediamo sì, a voi e a Hamas, di deporre le armi per arrivare ad un accordo, umano, rispettoso, equo, tra i due popoli, perché il diritto dei popoli comprende anche la pace a cui arrivare con mezzi pacifici; ma soprattutto, in questo momento, chiediamo a voi governanti di Israele di lasciare passare la Flotilla e farle svolgere il compito che vorreste fosse svolto anche per voi se la situazione si fosse presentata a parti invertite, con voi ridotti alla fame. Perché anche a parti invertite, ve lo assicuriamo, si sarebbe fatto lo stesso. Noi consideriamo tutti gli esseri umani, anche al di là del torto e della ragione, ciò che è chiaro a chiunque che essi sono: esseri umani, appunto.

Vi chiediamo di lasciare passare la Flotilla, dunque, e ve lo chiediamo, certamente non per paura e, come dicevamo, nemmeno per sfida, bensì con rispetto e perfino vi preghiamo in nome dei vostri valori più sacri, perché la nostra compassione nel vedere tanta sofferenza non permette alla Flotilla di tornare indietro e a noi di smettere di starle accanto.

Ai Governi occidentali, e a quello italiano in particolare, chiediamo di tutelare, senza se e senza ma, l’incolumità dei componenti della Flotilla e di chiedere con noi a Israele di  lasciarli passare.

 A presto.

Movimento Nonviolento. Centro territoriale di Palermo" 

Palermo 5/9/2025


giovedì 4 settembre 2025

LA PACE FRA GLI ESSERI UMANI COMINCIA DA COSA MANGIAMO?

Molti vivono la vita come la “si” vive per lo più intorno a sé. L’omologazione alla maggioranza statistica li preserva, dalla culla alla tomba, da obiezioni, critiche, domande impertinenti. Ma una minoranza (spero non proprio sparuta), almeno ogni tanto, dedica tempo a interrogarsi se davvero il modus vivendi dominante sia l’unico possibile o almeno il più raccomandabile. Si attiva così una riflessione su ciò che si pensa, cosa si desidera profondamente, come si operano le scelte decisive, come ci si comporta nella banale quotidianità. E’ nel corso di questo lavorìo, di questa lenta elaborazione, che può scattare – improvvisa – una intuizione: in tedesco si direbbe un blick o in inglese, con un termine altrettanto onomatopeico, un flash. Anche Francesco Calviello, autore di Veganpeace. La pace agli antipodi (Amazon Italia, 2025, pp. 111, euro 12,00), avvia il racconto della sua “nuova” vita dal momento preciso in cui “sentì spezzarsi qualcosa nel cervello, un crack netto mentre il volto gli scattò all’insù verso le nuvole” (p. 16).

Questo (apparentemente) improvviso capovolgimento dello sguardo, o forse meglio questo crollo (apparentemente) improvviso della benda congenita che ci ottundeva la vista, è un’esperienza attestata da molti mistici: il greco dei vangeli cristiani la denomina metanoia (che molti decenni fa un biblista ci suggerì di intendere come una sorta di “inversione a U” : da che procedi deciso in una direzione di marcia a che avverti di trovarti bruscamente spostato da una forza estranea nella direzione opposta). Ma Calviello non è un mistico, almeno non nell’accezione teologica ordinaria: ciò che egli ‘vede’ con prepotente e inaspettata lucidità è la molto ‘laica’ verità che “«prodotti animali» etici non ci sono” (ivi).

Quando si sperimenta – in un certo senso si subisce – un simile mutamento di paradigma (lo sanno molto bene anche le persone che abbandonano la logica dell’occhio per occhio, dente per dente, perché gli s’impone l’evidenza che solo la nonviolenza attiva salverà il mondo – ammesso che qualcosa lo potrà mai salvare) si apre fra sé e il contesto sociale una frattura: più o meno profonda, ma invalicabile. Si sente il desiderio di lanciare un ponte di funi da una parte all’altra della spaccatura: si cercano allora le parole adatte, i ragionamenti più convincenti, gli esempi più eloquenti. Ma invano. Non è questione di intelligenza né tanto meno di cultura, ma di angolazione. E’ impossibile che guardino le stesse cose chi è ritto sui propri piedi e chi è appeso con la testa all’ingiù.

L’autore dunque non vuole (almeno esplicitamente) convincere nessuno: vuole solo dare spazio alle proprie “emozioni più profonde” (p. 129 e testimoniare ciò che per lui è – dal giorno della ‘conversione’ a oggi -  lo “spirito vegan, quand’esso si distingua dal mero ‘non uccidere’, da un animalismo zoofilo se non, alla peggio, da questioni banalmente dietetiche. (…) Vegan si oppone criticamente all’insegnamento ad imprigionare chicchessia e guardarlo, manipolarlo dall’esterno con «guanti sterili»” (p. 25). A partire dal significato della parola indiana yoga egli sottolinea che “l’unione-con-il-tutto prevede in modo radicale la percezione e la salvaguardia della vita di ogni essere senziente”: “chi non svolge in sé questa percezione fa ginnastica o rilassamento, non yoga” (p. 43).

Il fatto che si diventa ‘vegani’ (e, prima ancora, almeno ‘vegetariani’) per una radicale opzione di fondo esistenziale, in cui si esprime una concezione etico-filosofica complessiva, non esclude che – per sovrabbondanza – tale opzione soggettiva possa essere rinforzata da considerazioni scientifiche e politiche oggettive. Perché sostenere che “nella fettina di 60 grammi è disperso un chilo di proteine vegetali” (p. 32); che “un’alimentazione vegana globale risparmierebbe il 75% dei terreni oggi impiegati” (ivi); che dei “quasi 400 milioni di tonnellate (di soia) previste per la stagione 2024/25, più del 90% sarà dato in pasto agli ergastolani non umani per la campagna a tutela dei palati” (p. 33); che esiste una “relazione tra gli stravolgimenti climatici e lo sfruttamento intensivo della natura e degli animali” (p.52) non sono affermazioni fantasiose. Come non è esagerato temere che, con gli attuali ritmi di produzione dei foraggi per gli allevamenti industriali, il consumo di terreni coltivabili e di acqua potabile moltiplicherà le occasioni di scontro all’ultimo sangue fra popoli più armati e popoli meno armati.

Anche alla luce del mio percorso attuale terrei a dissipare almeno due equivoci che potrebbero crearsi a partire dalla verità che certe ‘visualizzazioni’ si hanno o non si hanno. Primo: ciò non esclude che esse possano susseguirsi a distanza l’una dall’altra nel tempo. Può darsi che una volta si ‘veda’ la tragicità dello specismo antropocentrico (cfr. p. 38) per cui si decide di militare in organizzazioni come il CIWF impegnate sistematicamente nella riduzione della crudeltà contro gli animali non-umani; un’altra volta si ‘veda’ la possibilità realistica di diventare ‘vegetariani’ e un’altra volta ancora di diventare ‘vegani’.  Un secondo equivoco potrebbe consistere nel sottovalutare il ruolo che l’informazione, lo studio, il confronto dialogico possano giocare prima, durante e dopo la ‘illuminazione’. Fidarsi esclusivamente del buon senso o della propria sensibilità sentimentale – come se non fossimo animali dotati anche di razionalità – sarebbe una sorta di fideismo: non si guadagna lo status di “pensatori autonomi, svincolati dalla doxa e dai sogni del branco” (p. 31) senza nessuna “fatica del concetto”.

Capiterà ad ogni lettore di provare perplessità o per la sofisticatezza del registro linguistico di alcune pagine o per l’opinabilità di alcune tesi (come ad esempio le critiche all’obbligatorietà della vaccinazione anti-covid o all’istituzione del codice fiscale individualizzato): ma simili, possibili, reazioni non sembrano per nulla impreviste (e forse neppure sgradite) da parte dell’autore.

Augusto Cavadi

* Versione originaria illustrata qui:

https://www.zerozeronews.it/la-pace-comincia-dallalimentazione/



martedì 2 settembre 2025

UN PARROCO PALERMITANO SCRIVE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI

 Pace e bene Presidente Giorgia Meloni.

Ho ascoltato il suo intervento al Meeting di Rimini e avrei alcune considerazioni da fare non per sterile polemica ma perché la dialettica aiuta la comprensione dei fatti e in un onesto dialogo favorisce la crescita del pensiero.
Oggi di fronte alla questione palestinese l’equidistanza ci rende complici e quello che Israele sta compiendo è un infame genocidio che utilizza perfino la fame quale strategia di oppressione e sterminio di un popolo. Una carneficina che non è dettata solo dalla reazione al 7 ottobre ma pare motivata da una mira espansionistica che vuole letteralmente spazzare il popolo palestinese.
Non è saltato il “principio di proporzionalità”, così come lo chiama, perché la costruzione della pace è un percorso mai proporzionale e richiede un anticipo di gratuità nel perdono per ripartire, perché la pace non ha un prezzo da saldare. Quella altrimenti sarebbe una tregua frutto della sottomissione dettata dal più forte.
Quando Lei fa riferimento all’attuale necessità di fermare le mira espansionistiche dell’insediamento coloniale in Cisgiordania le ricordo che questo non accade da oggi ma è una storia pluridecennale che, addirittura, è iniziata già nel 1967 dopo la guerra dei sei giorni.
Finalmente oggi ci prendiamo il permesso di parlarne, ma no l’Italia non è “la Nazione europea che si è spesa di più”, le ricordo che ancora oggi le nostre fabbriche forniscono armi e supporto tecnologico all’apparato militare israeliano, quello che fa saltare per aria ospedali così come civili tra cui diciottomila bambini e oltre duecento giornalisti.
Il fatto che siano state colpite le Comunità cristiane non aggiunge nulla a quanto già abominevole era in atto, la misura era già colma da un pezzo.
Giusto un altro passaggio mi pare equivoco. Lei cita il cardinale Sarah a proposito del diritto a non dovere emigrare, così afferma: “Chi ritiene le migrazioni necessarie e indispensabili compie di fatto un atto egoistico, se i giovani lasciano la loro terra che ne sarà della storia e della cultura del paese che hanno abbandonato?”
Le chiedo: ma quale egoismo c’è in chi cerca di salvarsi la vita e non morire a motivo delle destabilizzazioni politiche e dei conseguenti regimi militari sostenuti dai Paesi occidentali in cambio di concessioni alle nostre multinazionali? O, ancora, che colpa c’è in chi vive le conseguenze del cambiamento climatico imputabile certo ai Paesi più sviluppati, che procura la desertificazione e, di conseguenza, la carestia in intere regioni?
Se il diritto alla vita è da difendere allora questo vale per tutti e non solo per chi dovrà nascere nella società occidentale dove la “politica della sicurezza” vuole garantire ogni sorta di comfort.
Riguardo ai mattoni posati sul fronte delle migrazioni, quando afferma che ora la cornice è “serietà e rigore”, mi chiedo cosa intenda. Se serietà e rigore significa mandare le navi delle organizzazioni umanitarie con a bordo i naufraghi soccorsi in porti di sbarco distanti centinaia di miglia dal luogo del salvataggio questo mi pare privo di senso.
Sappiamo che le ragioni addotte sono quelle della ripartizione degli sbarchi su tutto il territorio nazionale ma in questo modo si sottopone ad un ulteriore supplizio, con altri due giorni di navigazione, chi è stremato per un viaggio in cui ha già subito ogni sorta di violazione della propria dignità. Inoltre non si tiene affatto conto dei costi che l’imbarcazione umanitaria dovrebbe affrontare per un viaggio così lontano come quando viene intimato di raggiungere il porto di Genova anziché attraccare a Trapani e, tantomeno, della sua assenza nel Mediterraneo per diversi giorni quando tanti naufraghi potrebbero avere bisogno di soccorso.
Questo sembra, è la mia percezione, un accanimento contro gli equipaggi che per senso umano scelgono di sbarcare le persone salvate in mare nel porto più vicino per ricevere, così, soccorsi e cure opportune. Chiaramente a questo atto di disobbedienza civile segue il fermo amministrativo della nave, le sanzioni pecuniarie e la denuncia a carico del comandante. E’ uno scenario scoraggiante e, forse, vorrebbe scoraggiare le organizzazioni umanitarie o anche gli stessi profughi che per mancanza di un supporto in mare potrebbero tornare indietro.
Eppure assistiamo ad un atto di resistenza da parte di entrambi: i primi tornano a pattugliare il Mediterraneo nell’intento di rimanere umani rispondendo alla legge del mare e della nostra Costituzione e, per i secondi, continuare a lanciarsi nel viaggio oltre ogni speranza per “rischiare di sopravvivere”.
Piuttosto mi sarei aspettato “serietà e rigore” nell’affrontare il gesto criminale della guardia costiera libica che domenica scorsa sparava per venti minuti sulla Ocean Viking dopo che questa aveva recuperato a bordo ottantasette naufraghi. Mi sarei aspettato “serietà e rigore” nel difendere il diritto umanitario internazionale in uno scenario che oggi pare avere perduto ogni tipo di codice etico.
Sembra lo stesso paradosso che si sta realizzando a Gaza dove rimaniamo sgomenti per la devastazione a cui abbiamo comunque contribuito con le nostre armi. Se la guardia costiera libica - dotata delle motovedette donate dall’Italia e con un corpo militare addestrato dal nostro - ritiene opportuno sparare ad una nave umanitaria che si trova in acque internazionali, a Gaza lo sfollamento forzato minacciato dalle bombe trova il silenzio assordante del nostro Governo come se fosse un fatto di poco conto.
Il silenzio in realtà, domenica scorsa, era già cominciato quando al grido di mayday e ai tentativi di contatto con la Nato e la Marina militare la nave di SOS MEDITERRANEE non aveva trovato alcuna risposta…
Se, ora, la procura di Siracusa apre un’inchiesta per appurare la realtà dei fatti non è per un pregiudizio ideologico ma perché la giustizia va tutelata senza compromessi. Se il soccorso civile è diventato così prepotente è perché tutte le persone che si trovano in pericolo in mare hanno il diritto di essere soccorse e noi il dovere di attivarci per la loro protezione.
Domenica partivo dal porto Lampedusa con un gruppo di giovani che si erano spesi per una settimana a servizio di chi arrivava nell’isola, nel mentre che salpavamo verso Porto Empedocle nel molo Favaloro arrivava la nave ong Nadir, con a bordo cinquantaquattro migranti e tre minorenni che erano decedute…
Presidente Giorgia Meloni credo che per “ricostruire una società amica della famiglia e della natalità” così come Lei dice, sia necessario ripartire dagli ultimi del nostro tempo, da quanti hanno bisogno di una mano amica e dunque disposta a compromettersi per condividere il dono della vita. Se vuole davvero ispirarsi ai valori del Vangelo, dunque, non c’è alternativa, è necessario contaminarsi facendo spazio fino a restituire voce ai piccoli di questo mondo.

Fra Mauro Billetta

* Su mia segnalazione, questa lettera aperta è anche ospitata da "Adista": https://www.adista.it/articolo/74401