giovedì 4 settembre 2025

LA PACE FRA GLI ESSERI UMANI COMINCIA DA COSA MANGIAMO?

Molti vivono la vita come la “si” vive per lo più intorno a sé. L’omologazione alla maggioranza statistica li preserva, dalla culla alla tomba, da obiezioni, critiche, domande impertinenti. Ma una minoranza (spero non proprio sparuta), almeno ogni tanto, dedica tempo a interrogarsi se davvero il modus vivendi dominante sia l’unico possibile o almeno il più raccomandabile. Si attiva così una riflessione su ciò che si pensa, cosa si desidera profondamente, come si operano le scelte decisive, come ci si comporta nella banale quotidianità. E’ nel corso di questo lavorìo, di questa lenta elaborazione, che può scattare – improvvisa – una intuizione: in tedesco si direbbe un blick o in inglese, con un termine altrettanto onomatopeico, un flash. Anche Francesco Calviello, autore di Veganpeace. La pace agli antipodi (Amazon Italia, 2025, pp. 111, euro 12,00), avvia il racconto della sua “nuova” vita dal momento preciso in cui “sentì spezzarsi qualcosa nel cervello, un crack netto mentre il volto gli scattò all’insù verso le nuvole” (p. 16).

Questo (apparentemente) improvviso capovolgimento dello sguardo, o forse meglio questo crollo (apparentemente) improvviso della benda congenita che ci ottundeva la vista, è un’esperienza attestata da molti mistici: il greco dei vangeli cristiani la denomina metanoia (che molti decenni fa un biblista ci suggerì di intendere come una sorta di “inversione a U” : da che procedi deciso in una direzione di marcia a che avverti di trovarti bruscamente spostato da una forza estranea nella direzione opposta). Ma Calviello non è un mistico, almeno non nell’accezione teologica ordinaria: ciò che egli ‘vede’ con prepotente e inaspettata lucidità è la molto ‘laica’ verità che “«prodotti animali» etici non ci sono” (ivi).

Quando si sperimenta – in un certo senso si subisce – un simile mutamento di paradigma (lo sanno molto bene anche le persone che abbandonano la logica dell’occhio per occhio, dente per dente, perché gli s’impone l’evidenza che solo la nonviolenza attiva salverà il mondo – ammesso che qualcosa lo potrà mai salvare) si apre fra sé e il contesto sociale una frattura: più o meno profonda, ma invalicabile. Si sente il desiderio di lanciare un ponte di funi da una parte all’altra della spaccatura: si cercano allora le parole adatte, i ragionamenti più convincenti, gli esempi più eloquenti. Ma invano. Non è questione di intelligenza né tanto meno di cultura, ma di angolazione. E’ impossibile che guardino le stesse cose chi è ritto sui propri piedi e chi è appeso con la testa all’ingiù.

L’autore dunque non vuole (almeno esplicitamente) convincere nessuno: vuole solo dare spazio alle proprie “emozioni più profonde” (p. 129 e testimoniare ciò che per lui è – dal giorno della ‘conversione’ a oggi -  lo “spirito vegan, quand’esso si distingua dal mero ‘non uccidere’, da un animalismo zoofilo se non, alla peggio, da questioni banalmente dietetiche. (…) Vegan si oppone criticamente all’insegnamento ad imprigionare chicchessia e guardarlo, manipolarlo dall’esterno con «guanti sterili»” (p. 25). A partire dal significato della parola indiana yoga egli sottolinea che “l’unione-con-il-tutto prevede in modo radicale la percezione e la salvaguardia della vita di ogni essere senziente”: “chi non svolge in sé questa percezione fa ginnastica o rilassamento, non yoga” (p. 43).

Il fatto che si diventa ‘vegani’ (e, prima ancora, almeno ‘vegetariani’) per una radicale opzione di fondo esistenziale, in cui si esprime una concezione etico-filosofica complessiva, non esclude che – per sovrabbondanza – tale opzione soggettiva possa essere rinforzata da considerazioni scientifiche e politiche oggettive. Perché sostenere che “nella fettina di 60 grammi è disperso un chilo di proteine vegetali” (p. 32); che “un’alimentazione vegana globale risparmierebbe il 75% dei terreni oggi impiegati” (ivi); che dei “quasi 400 milioni di tonnellate (di soia) previste per la stagione 2024/25, più del 90% sarà dato in pasto agli ergastolani non umani per la campagna a tutela dei palati” (p. 33); che esiste una “relazione tra gli stravolgimenti climatici e lo sfruttamento intensivo della natura e degli animali” (p.52) non sono affermazioni fantasiose. Come non è esagerato temere che, con gli attuali ritmi di produzione dei foraggi per gli allevamenti industriali, il consumo di terreni coltivabili e di acqua potabile moltiplicherà le occasioni di scontro all’ultimo sangue fra popoli più armati e popoli meno armati.

Anche alla luce del mio percorso attuale terrei a dissipare almeno due equivoci che potrebbero crearsi a partire dalla verità che certe ‘visualizzazioni’ si hanno o non si hanno. Primo: ciò non esclude che esse possano susseguirsi a distanza l’una dall’altra nel tempo. Può darsi che una volta si ‘veda’ la tragicità dello specismo antropocentrico (cfr. p. 38) per cui si decide di militare in organizzazioni come il CIWF impegnate sistematicamente nella riduzione della crudeltà contro gli animali non-umani; un’altra volta si ‘veda’ la possibilità realistica di diventare ‘vegetariani’ e un’altra volta ancora di diventare ‘vegani’.  Un secondo equivoco potrebbe consistere nel sottovalutare il ruolo che l’informazione, lo studio, il confronto dialogico possano giocare prima, durante e dopo la ‘illuminazione’. Fidarsi esclusivamente del buon senso o della propria sensibilità sentimentale – come se non fossimo animali dotati anche di razionalità – sarebbe una sorta di fideismo: non si guadagna lo status di “pensatori autonomi, svincolati dalla doxa e dai sogni del branco” (p. 31) senza nessuna “fatica del concetto”.

Capiterà ad ogni lettore di provare perplessità o per la sofisticatezza del registro linguistico di alcune pagine o per l’opinabilità di alcune tesi (come ad esempio le critiche all’obbligatorietà della vaccinazione anti-covid o all’istituzione del codice fiscale individualizzato): ma simili, possibili, reazioni non sembrano per nulla impreviste (e forse neppure sgradite) da parte dell’autore.

Augusto Cavadi

* Versione originaria illustrata qui:

https://www.zerozeronews.it/la-pace-comincia-dallalimentazione/



2 commenti:

Salvatore Porrovecchio ha detto...

Buongiorno Augusto , ho letto con molto interesse la tua bella recensione al libro di Francesco Calviello, autore di “Veganpeace La pace agli antipodi”. L’avevo già messo nella lista dei libri da leggere ma la parte finale mi ha lasciato un po’ perplesso.
Per quanto riguarda l’approccio etico-filosofico sul vegetarianesimo-veganesimo il libro e il testo recensiscono correttamente alcuni dati oggettivi che trovano riscontro nella letteratura scientifica, in primis l’allevamento intensivo che consuma enormi quantità di proteine vegetali (es. soia) per nutrire animali da macello con grande inefficienza della filiera proteica.
Poi il costo ecologico degli allevamenti in termini di consumo di suolo, acqua, energia e produzione di gas serra è molto elevato. Last but not least: l’impatto etico e morale della sofferenza animale è un argomento sempre più rilevante in bioetica.
Dal punto di vista medico, la transizione verso un’alimentazione vegetariana o vegana può essere sana e sostenibile, purché: sia nutrizionalmente bilanciata; preveda un’adeguata integrazione di vitamina B12, vitamina D, ferro e omega-3, specialmente nei vegani; sia accompagnata da monitoraggio clinico, soprattutto in popolazioni fragili (anziani, bambini, pazienti epatopatici, pazienti oncologici).
Da questo punto di vista, il testo recensito appare coerente e condivisibile, almeno per quanto riguarda le motivazioni ecologiche ed etiche.
Dove emerge la criticità è nell’obbligo vaccinale anti-COVID.
Qui mi trovo in disaccordo con l’autore( dovrei leggere il libro per avere ulteriore conferma, ma per come lo hai recensito in modo soft e ‘interlocutorio’ questo passaggio penso di non avere compreso male ).
Durante la pandemia, l’Italia ha adottato l’obbligo vaccinale per specifiche categorie (operatori sanitari, insegnanti, forze dell’ordine, over 50 in una certa fase). Questa scelta è stata sostenuta da tre ragioni principali:
in primis ridurre la mortalità e le forme gravi di COVID-19, soprattutto nelle fasce più vulnerabili; poi proteggere il sistema sanitario dall’impatto di ondate epidemiche che rischiavano di mandarlo al collasso. E infine rallentare la circolazione virale in un contesto di limitata disponibilità di antivirali efficaci.
Dal punto di vista scientifico ed epidemiologico, le evidenze accumulate tra il 2020 e il 2022 hanno dimostrato che:
- I vaccini a mRNA (Pfizer, Moderna) e a vettore virale (AstraZeneca, J&J) hanno ridotto drasticamente i ricoveri e i decessi.
- L’immunità ibrida (vaccino + infezione) ha offerto una protezione robusta e più duratura.
- Le rare complicanze vaccinali (es. miocarditi, trombosi atipiche) sono state ampiamente inferiori al rischio di complicanze severe da COVID.
Negare l’efficacia del vaccino o criticare l’obbligo senza tenere conto di questo contesto rischia di confondere la libertà individuale con la responsabilità collettiva.
In un contesto emergenziale, il principio bioetico di giustizia distributiva — proteggere i più fragili e preservare la funzionalità del sistema sanitario — ha avuto priorità, e correttamente.
Poi come sai io sottolineo sempre che i vaccini sono farmaci e come tutti i farmaci possono avere effetti collaterali.
In conclusione penso che la libertà di scelta individuale è un valore, ma in sanità pubblica, durante un’emergenza pandemica, la tutela della salute collettiva deve prevalere, quando le evidenze scientifiche sono solide.
Un abbraccio e a presto, Salvo

Anonimo ha detto...

Intanto ringrazio Augusto Cavadi della sua splendida recensione. Da autore del libro, mi sento di dover rispondere che l'importante è non fare MAI della propria "convinzione scientifica" una verità assoluta. Cosa che, come insegna con molta semplicità la lezione di Popper e dell'epistemologia contemporanea, corromperebbe proprio lo stato di salute di una scienza, che dovrebbe avere a che vedere soltanto con "modelli" interpretativi di una "realtà" che, nella sua essenza più intima, rimarrà di fatto sempre inafferrabile. Ecco perché mi piace dire che il mio "Veganpeace" non è una verità in tasca, ma il racconto, il "modello" della mia esperienza di vita personale. La mia esperienza racconterebbe che, a fronte di nessun mio conoscente (mio, per carità!) deceduto a causa del virus da lei citato, ho assistito invece ai danneggiamenti di molte persone, alcune anche decedute, per effetti avversi del siero genico sperimentale. Cosa dovrei dedurne se mi limitassi a pensare in termini di "verità"? O, ancora: io, da 12 anni vegano, non ho mai assunto né integratori di B12, né vitamina di vit. D, né Omega-3, né ferro o quant'altro. Mangio come mangiavano i miei nonni prima dell' "età del benessere", e sto benissimo. Cosa ne dovrei dedurre? Deduzioni per me, per il mio campo sensoriale e cognizione di "realtà" che non mi sento di imporre ad altri... Ritengo che ognuno debba essere libero di sperimentare i fenomeni a partire da se stesso e non condizionato dalle voci televisive o di qualsivoglia "autorità"... Altrimenti, e con ciò concludo, diventeremmo vittime di una "visione del mondo". E citando la definizione di un lucidissimo Freud: "Weltanschauung ["visione del mondo"] è una costruzione intellettuale che, partendo da un determinato presupposto, risolve in modo unitario tutti i problemi della nostra esistenza e nella quale, di conseguenza, nessun problema rimane insoluto e tutto ciò che ci interessa trova il suo posto preciso. E' facile comprendere che possedere una tale Weltanschauung fa parte dei desideri ideali degli uomini. Avendo fede in essa ci si può sentire sicuri nella vita, si può sapere a che cosa si debba aspirare e come collocare più opportunamente i propri affetti e i propri interessi".