Con
l’approvazione convinta dell’arcivescovo di Napoli, cardinal Battaglia, giovedì
16 ottobre ha avuto luogo a Cosenza una giornata di studio dedicata a Chiesa
e ‘Ndrangheta, simbologie a confronto.
La
prima parte della giornata si è svolta presso il campus universitario dell’Università
della Calabria. Sotto la vigile e calorosa regia di Giancarlo Costabile,
docente del Dipartimento culture, educazione e società, si sono avvicendati al
microfono gli esponenti delle istituzioni che hanno aderito all’organizzazione
dell’iniziativa: Gianluigi Greco, neo-rettore dell’Università; Antonio
Foderaro, decano della Sezione San Tommaso della Pontificia Facoltà
Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli; Ennio Stamile, rettore
dell’Università della ricerca e dell’impegno contro la ‘ndrangheta “Rossella
Casini” di Limbaldi; don Marcello Cozzi, coordinatore Istituto
di Ricerca sui fenomeni mafiosi “Don Peppino Diana” di Napoli. Secondo
programma si sarebbe dovuto trattare di saluti ‘istituzionali’, ma di fatto
sono state vere e proprie relazioni, al punto che – dopo circa due ore – è
stata concessa ai cento e più studenti presenti una pausa caffè offerta
generosamente dal docente ospite.
Anche grazie a questa pausa ristoratrice (senza la quale si sarebbe
rischiato l’accanimento….pedagogico) i partecipanti hanno seguito con
attenzione le due lezioni ‘ufficiali’ previste. Nel corso della prima - Il
simbolo. Significato, interpretazione ed ermeneutica – l’antropologo Fulvio
Librandi non si è limitato ad una pur necessaria explicatio terminorum,
ma si è soffermato su una serie di esemplificazioni di scottante attualità. Ha
sottolineato, fra molto altro, il fatto che il simbolismo serve alla
‘ndrangheta solo nei momenti di crisi, non quando – come adesso – prospera
globalmente. E le facciamo un grande servizio quando, persino ad opera di
illustri magistrati, da evento (per citare Giovanni Falcone) con una data di
nascita e una data di morte la enfatizziamo come destino irreversibile della
Calabria. O quando (anche ad opera di autori della cui buona fede non possiamo
dubitare, come Saviano) la raccontiamo con narrazioni più spettacolari che capaci
di stimolare pensiero critico e di stimolare strategie di superamento. La
seconda lezione - La pratica religiosa e il simbolismo mafioso. Appunti per
una pastorale antimafia – è stata tenuta da Giuseppe Savagnone, noto e
apprezzato saggista, per molti anni responsabile del Centro Diocesano per la
pastorale della cultura di Palermo. Egli ha insistito su alcune
caratteristiche della cultura contemporanea che, a suo avviso, sarebbero
recepite della cultura mafiosa: l’eclissi di un’attesa del Futuro, la rinunzia alla
logica del Bene comune, l’evaporazione del Sacro in una dimensione generica ed
anonima. Il relatore non ha taciuto la distrazione e la pigrizia della
pastorale ecclesiale su questi tre aspetti, anche per i gravi difetti di
analisi del contesto contemporaneo nella formazione sia dei presbiteri che più
in generale del laicato cattolico.
La sessione pomeridiana ha avuto luogo nei
locali dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Francesco di Sales” ed
è consistita in un dialogo - introdotto e moderato dal direttore Emilio Salatino - tra Augusto Cavadi,
filosofo palermitano da decenni impegnato nel movimento antimafia e Francesco
Savino, vescovo di Cassano all’Jonio - sul tema Il Dio dei mafiosi e il Dio
del vangelo. Principi per una teologia antimafia. Entrambi, nonostante la
differenza tra i punti di osservazione, hanno concordato sul fatto che venti
secoli di teologia hanno appesantito e addomesticato la testimonianza di fede
“di” Gesù, rendendo le comunità cristiane dei luoghi dove spesso circolano troppi
soldi e dove si stringono legami equivoci con i poteri politici di turno. Tali
comunità – strutturate in maniera rigidamente gerarchica, con esponenti apicali
esclusivamente maschili e che presentano un Dio padrone/padrino placato solo
dal sangue del Figlio - sono molto appetibili
per i mafiosi che ne arraffano codici culturali e simbolici per darsi
un’identità e una rispettabilità. Le chiese cristiane, dunque, più che a
scomunicare i mafiosi, farebbero meglio a chiedersi come mai questi aspirano a
farne parte: se esse fossero caratterizzate (secondo il modello degli Atti
degli apostoli) da elevati livelli di fraternità, solidarietà e
nonviolenza, non sarebbero – al contrario – le cosche mafiose a deriderle come
ingenue e a snobbarle come irrilevanti?
Ha concluso sobriamente ma incisivamente i lavori della giornata Giovanni Checchinato, arcivescovo di Cosenza, citando tre personaggi molti diversi della storia cristiana accomunati dalla “paradossale radicalità” di ritornare al nucleo originario, tanto semplice quanto rivoluzionario, del messaggio evangelico della liberazione: Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola e Jon Sobrino.
(Redazione-Adista)
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2 commenti:
https://www.corrieredellacalabria.it/2025/10/18/lanatema-di-mons-savino-il-nostro-dio-non-e-quello-dei-mafiosi-ndrine-e-massoneria-sono-legate/
Sempre in campo.. Il caro Augusto!
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