domenica 24 settembre 2006

IL MALESSERE DEL CRISTIANESIMO


Repubblica - Palermo
24.9.2006

Il segnale che arriva dal velodromo dello ZEN

Mentre le chiese (cattoliche e protestanti) di più antica tradizione si svuotano lentamente ma inesorabilmente, i movimenti evangelici e pentecostali di matrice nord-americana attirano ai loro raduni folle da stadio. I due incontri col predicatore Benn Hinn di cui abbiamo dato notizia ieri – dodicimila fedeli per ciascuna serata – sono solo la punta di un iceberg: a Palermo ci sono diverse chiese cristiane autonome (la più numerosa si riunisce in un salone di via dei Cantieri noto un tempo per il nome un po’ inquietante “Cupola”) che non eccezionalmente, ma settimanalmente, raccolgono migliaia di adepti convinti, anzi entusiasti.

L’atteggiamento più spontaneo nei riguardi di questi fenomeni religiosi è stato, sino ad ora, lo snobismo. Sia da parte dell’opinione pubblica ‘laica’ che da parte dei pastori delle chiese storiche. Un sorriso di sufficienza davanti a manifestazioni di esaltazione mistica vicina al fanatismo – e via. Ma anche grazie a questa disattenzione teologica e sociologica della parte colta e raffinata della società, questi movimenti si sono andati diffondendo numericamente e radicando in profondità. Sino al punto da presentare addirittura, alle ultime elezioni politiche, una lista propria (“Patto Cristiano Esteso”, abbreviato in PA.C.E.), composta da candidati decisi a far valere i “valori cristiani” nel variegato arcipelago del centro-destra. Cuffaro, immemore del divieto emanato dalla buonanima del cardinal Ruffini di avere contatti con tutti i cristiani che non si riconoscano nella santa madre chiesa cattolica romana, non perde occasione per manifestare simpatia e promettere sinergia.
Hanno forse ragione, dunque, quei pochi ma acuti esponenti siciliani del mondo cattolico e riformato (valdesi, metodisti, battisti e luterani) che, in alcune occasioni, mi hanno segnalato l’opportunità di accendere i riflettori su questi settori della società e di aprire una riflessione pubblica sulle dinamiche che li animano. E’ facile infatti inanellare tutta una serie di obiezioni al loro modo di intendere e di vivere il vangelo (dal letteralismo fondamentalistico con cui si accostano ai Testi canonici alla svalutazione del ruolo della ragione nelle questioni teologiche; dalla condanna sommaria della Modernità all’assunzione acritica delle tecnologie massmediatiche più avanzate; dal moralismo intransigente nella sfera privata al rapporto strumentale e quasi cinico nei confronti delle istituzioni pubbliche…): ma denunziare limiti e contraddizioni, per quanto necessario, è troppo poco. Un’intelligenza critica è tale se riesce a discernere, in ciò di cui si occupa, ogni frammento di positività.
Le folle che percorrono centinaia di chilometri per riempire il Velodromo dello Zen stanno trasmettendo, spesso senza saperlo, messaggi che sarebbe miope trascurare. Alle chiese istituzionali stanno rimproverando l’incartapecorimento del messaggio evangelico originario la cui novità dirompente è anestetizzata dal duplice processo di intellettualizzazione (la fede ridotta ad accettazione mentale di rompicapi dogmatici) e di burocratizzazione (la vita comunitaria ridotta ad ossequio formale delle gerarchie ecclesiastiche). Ma Gesù di Nazareth non era né un teologo né uno statista: convinto di dover attuare un disegno divino, a lui interessava coinvolgere quanti entravano nella sua sfera di attività in un’avventura di liberazione dalle angosce interiori e dalle ingiustizie sociali. Era un’esistenza pulsante che comunicava energia ad altre esistenze concrete. Non una mente che parlava ad altre menti, ma una persona (intelligenza, volontà, emotività, corporeità…) che si rapportava al ‘cuore’ di ogni altro vivente.
E questa esigenza di autenticità, di vitalità, di schiettezza ha forse qualcosa da dire anche al mondo ‘laico’ della cultura e della politica. Un mondo dove (specie a sinistra) abbondano i professori, ma scarseggiano i testimoni. Una cosa è diffidare - giustamente – delle adunate oceaniche e degli slogan semplicistici; tutta un’altra cosa, però, tagliare i ponti comunicativi con i cittadini estranei a determinati circoli culturali e/o a determinate organizzazioni partitiche. Quanti sono, anche nella nostra città, gli intellettuali disposti a scrivere un libro in meno pur di provare a ragionare di urbanistica o di economia in una piccola assemblea di rione? E quanti sono i dirigenti sindacali disposti a parlare la lingua dei fatti, delle azioni, delle scelte quotidiane, rinunziando per esempio a piazzare parenti e affini nei posti di lavoro riservati ai privilegiati della nomenklatura? La gente ‘comune’ che accorre alla “Crociata dei miracoli” non è capace di analisi sottili, ma esprime una domanda di coerenza (se vogliamo anche un po’ ingenua) fra ciò che si predica e ciò che si pratica. Molti sintomi lasciano sospettare che sbaglia indirizzo e che resterà, prima o poi, delusa. Tuttavia la questione resta. Per dirla con Pascal, le buone massime ci sono tutte: si tratta adesso di attuarle.

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