sabato 22 novembre 2008

L’OMELIA DI DOMENICA 7 DICEMBRE


“Adista”
22.11.2008

IL BATTESIMO SECONDO GESU’

Marco 1, 1- 8

La storia è scritta di solito da chi ha vinto o da chi si allinea dalla parte del vincitore. Anche questa pagina lo conferma. A leggerla, infatti, sembra che tutto si incastri a meraviglia e che dopo Giovanni Battista sia arrivato Gesù il Nazareno, come quando nei concerti musicali una band minore riscalda l’atmosfera e prepara l’apparizione della vera star della serata. In realtà le cose non sono scivolate proprio così lisce. Per anni i discepoli del Battista si sono contrapposti ai discepoli del Nazareno e, attraverso vicende complicate di cui ci sfuggono molti passaggi, il secondo gruppo ha finito con il prevalere sul primo: conquistata l’egemonia, infine, ha potuto costruire un racconto irenico in cui, cancellate le tracce della precedente dialettica, il ruolo di Giovanni è sì riconosciuto ma in condizione di subordine rispetto alla figura e all’opera di Gesù.
Questa possibile ricostruzione storica non avrebbe alcuna rilevanza se non ci portasse a capire meglio in cosa consista - almeno secondo Marco - la novità evangelica. Giovanni non era infatti un profeta meno brillante per loquela, né meno rigoroso nei comportamenti, del cugino galileiano.

Secondo la versione di Luca il suo messaggio poteva condensarsi in poche, precise richieste. A chi faceva l’esattore delle tasse, chiedeva di non esigere più del dovuto; ai soldati, di non fare violenza a nessuno; alla gente in generale, di dare a chi non aveva nulla metà dei propri beni. Che cosa si poteva desiderare di più?
Forse le parole conclusive di questa perìcope possono aprire uno spiraglio: Giovanni battezzava “in acqua”, il Messia “in Spirito Santo”. Giovanni chiedeva ai seguaci di mettercela tutta e di coronare l’itinerario di ascesi e di ascesa con il segno del battesimo; Gesù conosceva la fragilità del cuore dell’uomo e chiedeva ai seguaci di affidarsi ad una Forza più che umana. Non di stare quietisticamente ad aspettare il miracolo che cada dal cielo come il frutto maturo da un albero di fico (come avvertirà Agostino in una delle sue formule più felici, il Dio che ci ha creati senza di noi non ci salverà senza di noi); ma di lavorare per liberarci interiormente dalle ingiustizie, e per rendere vivibile il deserto sociale in cui siamo gettati, senza perdere mai di vista la fragilità umana e le sue contraddizioni. Dunque impegnandoci come se tutto dipendesse da noi, ma senza dimenticare che tutto dipende anche da quell’Energia potente ed amorevole che le religioni chiamano Dio. La fede non diventa per questo più comoda, ma certamente meno presuntuosa e meno logorante. Non siamo noi che costruiamo il “regno di Dio”: lo assecondiamo - o al contrario lo ostacoliamo - soltanto. Un biblista rinomato l’ha saputo esprimere con radicale lucidità: non è Gesù che ha portato il regno (dunque tanto meno i cristiani), è il regno di Dio che ha portato Gesù. Nel vangelo secondo il Battista, bisogna saper remare con tutte le proprie forze (e non sappiamo che fine facciano i deboli, gli incerti, gli incoerenti); nel vangelo secondo Gesù bisogna saper offrire le vele della barca al Vento (Soffio, Spirito) divino.
Se è così, vestirsi di pelle d’animale o di cotone, abitare nelle grotte o nelle case, digiunare stabilmente o alimentarsi regolarmente…sono tutte scelte secondarie, strumentali. L’essenziale è altrove: rinunziare ad ogni alterigia antropocentrica ( persino a quella versione particolarmente insidiosa che è l’antropocentrismo religioso e moralistico) e inserire il proprio impegno quotidiano e locale nel più ampio mosaico della storia e del pianeta. Forse dell’eternità e dell’universo. L’ho trovato scritto anche su una t-shirt che ho acquistato qualche mese fa all’aeroporto di Cagliari: “Dio c’è. Ma rilassati: non sei tu”.

Augusto Cavadi

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