domenica 12 febbraio 2017

L'ANALFABETISMO DEI RAGAZZI ITALIANI: E DEGLI INSEGNANTI ?

Ritengo che il dovere di chi cerca di riflettere criticamente sia di dire ciò che gli sembra vero, sia quando sa di incontrare il plauso della gente sia quando - come in questo caso - sa di suscitare dissenso. Forse (magra consolazione!) in futuro ciò che asserisco oggi risulterà meno incredibile.


“Centonove”

9.2.2017



LA LETTERA AL GOVERNO DI 600 INTELLETTUALI SULL’IGNORANZA DEGLI STUDENTI ITALIANI





La lettera al Governo di seicento docenti universitari sul semi-analfabetismo degli studenti solleva un clamore mediatico tanto eclatante quanto effimero. Proprio come è già successo tante volte quando l’allarme su questo tema è stato lanciato in scritti e dichiarazioni da Ministri della Pubblica Istruzione come il linguista Tullio De Mauro. Anch’io, nel mio piccolo, resi pubbliche alcune opinioni - in merito all’ignoranza dei candidati ai concorsi per magistrati – confidatemi dall’allora Procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Grasso: “Preferiamo lasciare vuoti gli organici della magistratura in Sicilia anziché ammettere candidati che non sanno scrivere in italiano decente: farebbero ridere molti avvocati e, forse, anche qualche imputato” .

D’altronde cosa può fare un Governo per spezzare un circolo vizioso ormai pluridecennale?  Una sola cosa, semplice a dirsi e difficilissima a farsi: mandare a casa gli insegnanti, i dirigenti scolastici (nonché i ministri e i sottosegretari, almeno quelli responsabili della scuola e dell’università)  incapaci di redigere un testo a piacere di 20 righe senza gravi errori grammaticali, sintattici e ortografici. Certo, sarebbe un taglio di cattedre doloroso perché coinvolgerebbe un terzo circa dei docenti di ruolo; ma non è eccessivo sperare che vi siano altrettanti aspiranti in grado di sostituirli.

Ovviamente, chi è estraneo al mondo della scuola, riterrà un’esagerazione provocatoria questo suggerimento: come è possibile che, tra un milione di maestri e professori, più di trecentomila non siano all’altezza (minima) del compito? E’ incredibile, ma chi come me è stato nel mondo della scuola per più di mezzo secolo (di cui quarant’anni da docente) sa che siamo di fronte a uno dei casi in cui l’incredibile accade. Non siamo, d’altronde, in un Paese nel quale può essere nominato vice-ministro dell’istruzione un giovane politico che, per vari impegni esistenziali e sociali, non ha avuto il tempo di laurearsi?

Chi avesse avuto occasione di assistere alle prove scritte di un qualsiasi concorso a cattedra raccoglierebbe degli elementi per ritenere meno inverosimile il fenomeno. A me per esempio capitò di accorgermi, durante un esame di concorso  a cattedre di scienze naturali svoltosi presso il liceo classico “Meli” di Palermo, che un candidato un po’ attempato copiava a man bassa. Lo invitai, gentilmente e sotto voce, a chiudere il manuale che aveva squadernato sotto il banco.  Egli allora mi chiese di uscire con me fuori dall’aula in corridoio e mi domandò se ritenessi equo il mio comportamento: “In tutta Italia, in questo momento, ci sono colleghi che stanno copiando ed io devo perdere l’occasione di entrare in ruolo come professore solo perché ho avuto la sfortuna di incontrare un giustiziere come lei”.

Cercai di mantenere il registro colloquiale e articolai la risposta incentrandola su due aspetti. Primo: non avevo motivi di supporre che in tutte le altre aule d’Italia gli altri candidati stessero comodamente copiando. Secondo: ammesso e non concesso che così avvenisse, ero chiamato a rispondere  - alla mia coscienza deontologica – esclusivamente di ciò che avveniva nell’aula assegnatami. Aggiunsi, a mia volta, una domanda: avrebbe voluto che i suoi figli fossero affidati a insegnanti arrivati in cattedra senza merito? Purtroppo il mio impianto argomentativo risultò assai poco persuasivo. L’aspirante collega mi chiese se alla prova dell’indomani sarei stato nuovamente di turno in quell’aula: in questa ipotesi, aggiunse, avrebbe risparmiato i soldi dell’albergo in città e sarebbe ritornato a casa il giorno stesso.



Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

2 commenti:

Bruno Vergani ha detto...

Caro Augusto, francamente sconcertante; se avessi letto le medesime valutazioni da autore, a me, ignoto le avrei reputate esagerative. Non sarebbe male, già che ci siamo, indagare di questi l’eloquio e l’abilità nel comprendere un testo. Sprovvisto d’esperienza diretta e anche di competenze forse azzardo troppo, ma ipotizzo che quel terzo, oltre a redigere il libero e stringato testo con gravi errori grammaticali, sintattici e ortografici, esprimerebbe simultaneamente contenuti miseri; nel voler comunicare, come anche comprendere, contenuti davvero urgenti, o un minimo valorosi, o almeno solidi, l’apprendimento tecnico dell’arbitrio condiviso costituito da regole ordinate che chiamiamo lingua, si apprenderebbe con disinvoltura (pur remando di brutto) in quanto precondizione e patto comune per puntualmente dire e ancor di più scrivere, se qualcosa da dire e scrivere c’è.

Augusto Cavadi ha detto...

Potrei scrivere - e forse lo farò prima di morire - un bestiario ricavato dai miei ricordi di scuola (come ho fatto per "Presidi da bocciare?" , il libro edito da Di Girolamo che suppongo già conosci).Tra le perle più recenti, questa dell'anno scorso. Devo premettere che nella mia città ci sono due ipermercati: "Forum" e "Due torri". A una collega viene indicato che una certa circolare può consultarla su una sorta di bacheca elettronica della scuola, chiamata "forum" (dei docenti). "Ma se vado alle Due torri la trovo lo stesso?" chiede l'interessata senza la più remota intenzione di ironizzare...Di venti e più anni fa, ma indimenticata perché indimenticabile, una dichiarazione della collega di italiano (eravamo in un liceo scientifico !). Alla collega di inglese - che aveva osservato: "In questo nuovo negozio di biancheria intima c'è solo merce dozzinale"- viene obiettato: "Veramente non mi risulta. Vendono anche pezzi a due a due"...