martedì 22 gennaio 2019

CINQUE TAPPE NELLA STRADA VERSO LA MATURITA'

"Viottoli"
Semestrale di formazione comunitaria
Pinerolo (Torino)
anno XXI, n. 2/2018


LE CINQUE TAPPE DI UN ITINERARIO SPIRITUALE MATURO[1]

  Nel XII secolo un monaco certosino, Guigo II, ha codificato una “scala” di crescita spirituale che – più o meno ritoccata – è entrata nella tradizione cristiana. Quasi mille anni dopo, questo itinerario verso la piena maturità è ancora valido? Se si assume nello stesso senso in cui lo ha tracciato l’autore medievale, la mia risposta è negativa. 
   Esso, infatti, era radicalmente e interamente centrato sulla Bibbia, ritenuta una Sacra Scrittura rivelata “parola per parola” (verbatim) da Dio stesso. Oggi sappiamo che quei modi di dire (“Dio mi disse…”, “Il Signore apparve e comandò…”) sono patrimonio di tutte le letterature arcaiche (compresi i primi testi sapienziali e filosofici greci: cfr. la rivelazione della Dea nel poema di Parmenide): dunque o si interpretano tutti come resoconti storici realistici o si assumono tutti come accorgimenti retorici.
    Se, invece, le cinque tappe indicate dal monaco medievale vengono re-interpretate alla luce di una spiritualità ‘laica’, post-confessionale (o, se si vuole, pre-confessionale), mi pare che esse conservino intatta la loro significatività. Solo che, al posto della Bibbia, dovremmo pensare – più ampiamente – al mondo: al mondo della natura e al mondo della cultura (dunque anche alla Bibbia, ma vista come uno degli innumerevoli tasselli di quel grande mosaico che è la storia dell’umanità: sullo stesso piano dei testi, ritenuti o meno sacri, di tutte le grandi tradizioni sapienziali). Dunque: il Libro a cui ci riferiremo in questa rilettura è il Mondo in tutta la gamma delle sue espressioni fisiche, storiche, artistiche, filosofiche, religiose.
   Premetto solo un’avvertenza: il passaggio da un gradino al successivo non è mai stato – e non è tuttora – la chiusura della ‘pratica’ precedente, bensì la ri-problematizzazione del modo di intenderla e di viverla. Ogni volta che passiamo da una tappa all’altra siamo indotti a ripensare criticamente, e a sperimentare più intensamente, la tappa precedente.

Lectio
  Il primo passo è la lectio (= lettura). Guigo II si riferiva, come accennavo sopra, alla lettura di un passo della Bibbia. Oggi ritengo sia opportuno riferirsi alla lettura in senso più ampio: si tratta di leggere la realtà. In concreto: giornali, libri, film, ma prima di tutti gli avvenimenti della nostra esistenza e della storia planetaria. Hegel, un filosofo a cavallo fra Settecento e Ottocento, sosteneva che la lettura del quotidiano fosse la preghiera dell’uomo moderno. E’ chiaro che qui non si tratta di inseguire le curiosità e i pettegolezzi, ma di fornirsi di strumenti per capire ciò che accade vicino e lontano rispetto a noi: è un legereper intus-legere, un informarsi per penetrare-dentro.

Meditatio
    Alla lectio, secondo il monaco medievale, dovrebbe seguire la meditatio (=meditazione). Leggere è aprire gli occhi sul mondo per registrare i dati; meditare è chiudere gli occhi per “ruminare” i dati registrati. Già: prima dell’era digitale la difficoltà maggiore era procurarsi le informazioni; oggi, invece, è filtrarle criticamente. Rischiamo l’overdose di notizie, di ipotesi, di teorie: abbiamo bisogno di categorie selettive e ordinatrici. Ma che significa filtrarle criticamente? Significa imparare e esprimere “giudizi”. Imparare a sbilanciarsi: “questo è vero”, “questo è falso”, “questo è probabile”, “questo è improbabile”… Un provvedimento legislativo o è (sostanzialmente) costituzionale o non lo è; un farmaco anticancro o è (generalmente) efficace o non lo è; un imputato o è (probabilmente) colpevole o non lo è…Certo non è necessario che ci esprimiamo su tutto, anche su ciò su cui non abbiamo competenza. Ma neppure possiamo sempre, per principio, sospendere il diritto – e ancor prima il dovere – di giudicare. Anche nelle questioni morali? Qui va distinto il peccato dal peccatore. Posso avere un giudizio molto chiaro sul “non rubare” o “non uccidere” in quanto reati, comportamenti oggettivi; ma astenermi dal giudicare se, in particolare e in concreto, chi ha compiuto un determinato furto o un determinato assassinio ha agito bene o male. Insomma giudicare è un dovere in tutti i campi, tranne quando si tratta di giudicare la coscienza di un’altra persona.

Oratio
  La terza tappa, dopo la lectioe la meditatio, è l’oratio (=preghiera). Ma pregare, oggi, nel XXI secolo, ha ancora senso? Molti abbiamo superato da tempo la preghiera utilitaristica che chiede protezione e assistenza per sé o per le persone care o per l’umanità intera: presupporrebbe che Dio dosi – e orienti - la sua benevolenza attiva in base all’insistenza con cui questo o quell’orante implora grazia presso il suo ”trono”. Qualcuno vedrebbe in quest’ottica il trionfo del “teismo” più antropomorfico. Ma c’è un pregare che è un sostare davanti agli enigmi della natura e della storia per scrutare se, tra gli interstizi di un mondo dove il caos e il logos si contendono pariteticamente il campo, riluca un Senso più profondo. Pregare è insomma farsi punto interrogativo di fronte al Mistero che ci circonda e ci sorpassa. Per qualcuno è probabile che questo Senso radicale, questo Mistero onni-abbracciante sia un Soggetto pensante e amante (sia pur in una misura assolutamente incomparabile con le nostre limitate capacità di pensiero e di amore): “Quando nella mia vita – nelle ore grandi e nelle ore piccole – mi rendo conto di essere confinante con il mistero ineffabile, santo e amante che chiamiamo Dio; quando mi pongo davanti a questo mistero, e in un certo senso mi abbandono a lui nella fiducia, nella speranza e nell’amore; quando accetto questo mistero, allora io prego – spero di pregare” (così il teologo Karl Rahner). Per altri, su ciò che non vediamo e non tocchiamo, non si può ipotizzare nulla: e allora, secondo la parola di Wittgenstein, “pregare è pensare al senso della vita”.

Contemplatio
 La preghiera è un atteggiamento di attesa, di ricerca, di interrogazione di cui si ha coscienza. Eppure ci sono dei momenti, o delle fasi della vita, in cui sembra di non attendere più nulla, di non cercare più nulla, di non interrogarsi più su nulla. Il Mistero non ci sta più, per così dire, “davanti”: vi ci troviamo immersi “dentro”, come tuffati in un mare calmo. Non sappiamo “dove” siamo, ma sappiamo di essere al “posto” giusto. Con un grande senso di pace, ci avvertiamo al di là della speranza e della disperazione: ci vediamo come un puntino appena appena visibile nel grande Tutto. Che ne sarà di noi? Propriamente parlando, non ci interessa più saperlo. Comunque finirà, sarà bene. Ci siamo liberati dal nostro punto di vista individuale, dunque parziale, sull’universo: lo contempliamo, per così dire, dal punto di vista della Totalità.  Ecco come possiamo balbettare la quarta tappa: la contemplatio (= contemplazione).

Actio
 E’ la contemplazione il vertice della vita spirituale matura? Alcuni lo sostengono. Ma nella tradizione cristiana c’è una quinta tappa che talvolta è stata considerata una sorta di appendice, ma che altri ritengono davvero – a mio avviso con ragione - il culmine dell’esperienza autenticamente religiosa. Un racconto chassidico può aiutarci a intuire di che si tratta. Un rabbino ha fama di salire, quando si apparta nel bosco fuori il villaggio , sino al settimo cielo. Un suo collega, invidioso, vuole verificare se è vero e una sera – senza farsi vedere - lo segue per spiarlo. Viene così a conoscere che il rabbino si recava a trovare un’anziana vedova sola, a spaccarle la legna da ardere, a sistemare per lei il focolare. Ritornato al villaggio, a chi gli chiede se il suo collega si fosse elevato davvero sino al settimo cielo, risponde: “No. Sale ancora più in alto”. Il vertice della mistica è l’actio (=azione). Nel racconto chassidico è un gesto di solidarietà corta, diretta nel nascondimento a una sola persona bisognosa. Ma a maggior ragione vale per la solidarietà lunga, diretta al bene comune: al bene della polis (=città). Nel linguaggio della Teologia della Liberazione ciò si esprime nella formula: la mistica più alta è la mistica politica. Lo stesso Paolo VI insegnava con insistenza che l’attività politica fosse la forma più alta di carità, di agape, di amore oblativo. 


[1]E’ qui riprodotta la traccia su cui l’autore ha basato una conversazione tenuta, su invito della Comunità di base “San Francesco Saverio” di Trento, a Terzolas (Trento) il 7. 9. 2018.

2 commenti:

Maria D'Asaro ha detto...

Grazie di cuore, caro Augusto, dell'intrigante ri-attualizzazione di queste cinque tappe verso la maturità esistenziale.

Armando Caccamo ha detto...

Anch'io ti ringrazio, Augusto, per questa ri-visitazione di ciò che io avverto come "vita piena". Certamente, nell'attualità che viviamo, in cui è già difficile "leggere", poter passare ad altre tappe é ardua impresa. Forse, con un bel salto, dovremmo affidarci direttamente all'"actio" (dettata da criteri esperenziali) e poi ricominciare il percorso.