sabato 22 giugno 2019

VICTOR FRANKL: UNO PSICOLOGO NEI LAGER



“Poliedro”
Maggio 2019, anno III, n. 17

VICTOR FRANKL: UN PONTE DALLA PSICOTERAPIA 
                               ALLA CONSULENZA FILOSOFICA

Nel suo, pur documentato, volume La casa di psiche. Dalla psicanalisi alla pratica filosofica Umberto Galimberti non cita neppure una volta Victor E. Frankl. Eppure lo psicoterapeuta viennese costituisce a mio avviso uno snodo ineludibile del percorso dal mondo delle psicoterapie al mondo delle pratiche filosofiche (e, in particolare, della consulenza filosofica).
Vediamo, brevemente, perché.
Frankl, da giovane medico, viene internato in quattro lager nazisti e solo per una serie di circostanze strabilianti riesce a sopravvivere. Come racconta nel suo bellissimo, imperdibile, Uno psicologo nei lager, è anche questa esperienza dolorosa che gli fa intuire che esistono sofferenze non solo corporee e psichiche, ma anche spirituali (“noogene” dal greco nous che significa mente, intelletto, anima). L’essere umano, infatti, è sì spinto dall’impulso sessuale (Freud) e dalla volontà di affermazione (Adler), ma è anche affamato di significato. Molti scompensi psichici sono dovuti alla frustrazione del nostro bisogno di senso (ancora in greco: “logos”). Da qui l’idea di elaborare una scuola che Frankl ha battezzato “Logoterapia e analisi esistenziale” e che in Italia è stata importata da studiosi “laici” ma anche da presbiteri come don Giovanni Battista Torellò, dell’Opus Dei (autore di un ormai introvabile E’ meglio il confessore o lo spicanalista?) e soprattutto dal salesiano don Eugenio Fizzotti, che ha pubblicato innumerevoli titoli sull’argomento (facilmente reperibile ancora la seconda edizione del suo Logoterapia per tutti. Guida teorico-pratica per chi cerca il senso della vita).
L’approccio terapeutico di Frankl è specificatamente destinato a quelle persone affette da “crisi di maturazione esistenziali che presentano un quadro clinico nevrotico e tuttavia non sono nevrosi in senso stretto, cioè nel senso di affezioni psicogene. Si comprende da sé che un uomo oppresso da un problema spirituale, o teso da un conflitto di coscienza, potrà ammalarsi – al pari di qualsiasi nevrotico nel senso banale della parola – d’una sindrome che in primo piano presenta caratteristiche vegetative. Bisogna esser preparati ad eventualità del genere e al rischio di un errore d’interpretazione che esse comportano, massime in un’epoca come l’attuale; oggi, infatti, sono sempre più numerosi i pazienti che si rivolgono allo psichiatra non perché abbiano sintomi psichici, ma perché semplicemente hanno dei problemi umani”: così Frankl, nel 1962, nel suo Teoria e terapia delle nevrosi.
Egli, con ammirevole apertura mentale, ritiene che la sua “logoterapia” possa essere adottata non solo da neurologi e psichiatri, ma anche da medici di altre specializzazioni. Ovviamente in questi casi “non è più una terapia nel senso rigoroso della parola, ma si risolve in quella che abbiamo chiamato ‘cura medica dell’anima’ ”: il chirurgo rispetto al paziente cui amputare una gamba, o il dermatologo al cospetto di una donna sfigurata irreversibilmente, pur restando medico, accetta di rapportarsi da “uomo a uomo”.
Frankl, addirittura, afferma che, nei casi in cui “la frustrazione esistenziale non è divenuta patogena, ma si è mantenuta blanda”, è possibile – e augurabile – che si sperimenti una “analisi esistenziale”: “in tal caso però questa non rappresenta una terapia della nevrosi né è di competenza esclusiva del medico”, “tocca altrettanto da vicino il filosofo ed il teologo, il pedagogo e lo psicologo; giacché il dubbio sul significato dell’esistenza chiama in causa loro non meno del medico”.
Così Frankl ha allargato lo sguardo dalla psicoterapia (riservata ai medici psicoterapeuti) alla “cura medica dell’anima” (accessibile a tutti i medici, anche non psicoterapeuti) sino alla “analisi esistenziale” (accessibile a professionisti di vari settori, anche né psicoterapeuti né medici). Ma ci sono filosofi disponibili a mettere da parte le proprie ricerche storiografiche e gli impegni didattici per aprire lo studio a persone desiderose di confrontarsi sul senso dell’esistenza?  
Frankl non lo poteva prevedere, ma una ventina d’anni dopo alcuni filosofi tedeschi (Gerd Achenbach) e poi in vari Paesi del mondo (tra cui, in Italia, Neri Pollastri) si sono chiesti: chi ha “crisi esistenziali” o, comunque, “problemi umani” e non vuole rivolgersi a un prete – o per lo meno: non soltantoa un prete – deve essere costretto a ripiegare necessariamente su un terapeuta (sia pure di ampie vedute come gli esponenti della “logoterapia” e di altre correnti affini)? Oppure è possibile aprire degli studi di “consulenza filosofica” (Philosophische Praxis) in cui una persona trovi un interlocutore qualificato a conversare con lei senza né medicalizzarla né evangelizzarla? Con fatica questa nuova – antichissima: Socrate ! – professione si va facendo strada sia mediante associazioni professionali (www.phronesis-cf.com) sia mediante pubblicazioni che chiariscano la differenza radicale da ogni psicoterapia come da ogni direzione spirituale (cfr. il mio Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue praticheed il volume a più voci, a cura di Chiara Zanella, Sofia e agape. Pratiche filosofiche e attività pastorali a confronto, con interessanti contributi anche di don Cosimo Scordato, don Fabio Soldan e don Enrico Stasi). 
Quando mi capita di informare, in giro per l’Italia, di questa terza via in aggiunta (non in concorrenza!) con psicoterapia e assistenza teologico-religiosa, non di rado sperimento resistenze e diffidenze: come se uno che offre del buon vino possa essere sospettato di voler sostituirsi a chi offre acqua o pane. No: purtroppo di psicoterapeuti (bravi e, possibilmente, come Frankl aperti anche alla dimensione spirituale, oltre che biologica e psichica del paziente) ce ne sarà a lungo necessità. Anche la “direzione spirituale” (specie se declinata come “consulenza teologica” e “accompagnamento” fraterno) manterrà la sua ineliminabilità, o forse sarà addirittura estesa al di là della ristretta cerchia clericale a “padri” e “madri” come avveniva nei primi secoli della vita ecclesiale. Nulla vieta a un coniuge in dubbio se divorziare o meno, o a un genitore sconvolto dalla diagnosi infausta per un figlio, di rivolgersi sia a un prete sia a uno psicologo sia a un filosofo (ognuno per un’angolazione differente da cui affrontare il proprio problema)  : specie se, in concreto, queste figure professionali saranno incarnate da soggetti convinti che ogni contaminazione fra medici, psicologi-psicoterapeuti, filosofi-consulenti e pastoralisti non può che arricchire la competenza specifica di ciascuno. Come un poliedro, l’essere umano è infatti uno e centomila.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

3 commenti:

gabriella ha detto...

Il buon vino sta nelle botti piccole! È sempre un piacere leggerti!

Unknown ha detto...

Grazie per questo articolo equilibrato ed aperto.

Unknown ha detto...

la tua riflessione se ben letta puo' spingere a rivedersi dalle proprie condizioni fisiche ,filosofiche e teologiche .grazie