sabato 3 agosto 2019

PENSARE SUL MEDITERRANEO SECONDO LEONE

                                                          
WWW.ZEROZERONEWS.IT

UN MARE DI PENSIERI

 di Rosalia Leone

Filosofia e Mediterraneo: in che rapporto stanno? Una bella sfida trovare un nesso fecondo  tra una disciplina (per giunta problematica) e un mare, come ha tentato Augusto Cavadi in Pensare sul Mare-tra-le-terre. Filosofia e Mediterraneo (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pp. 69, euro 10,00). E un’avventura scrivere una quasi-recensione, districandosi nel mosaico di idee di un testo per focalizzarne quelle che ho ritenuto rilevanti o che insinuano qualche dubbio. 
Innanzitutto il libro si propone di rispondere all’invito urgente, di  ieri e di oggi, di “pensare il Mediterraneo e mediterraneizzare il pensiero” (secondo la formula di Edgar Morin che per altro dà il titolo a un piccolo volume della medesima Collana a cura della sezione dei Gesuiti della Facoltà teologica di Napoli): di pensare intorno a un mare che, da incubatrice di alta spiritualità e da grembo di pienezza civilizzatrice, si è ridotto a immenso cimitero di disperati; da ponte fra i popoli a frontiera e limite. L’autore, citando Franco  Cassano,  ci spiega  che il significato più alto del Mediterraneo sta nel suo essere luogo dove si affacciano molti fondamentalismi, incluso l’etnocentrismo europeo, che ha preteso nei secoli di annullare la differenza dell’altro; ma anche luogo in cui, dinanzi ai  tanti fondamentalismi, la filosofia, scuola di laicità, ha lavorato e lavora a disinnescarne la carica distruttiva. Essa, in quanto ricerca del fondamento,  relativizza gli assoluti, problematizza, è libera ed è liberatrice: le spetta il compito di favorire la conoscenza reciproca delle visioni del mondo in gioco. La filosofia occidentale - dono di saggezza, non unico, del bacino del Mediterraneo al mondo intero - oggi può capire come stanno le cose, cercare, ma anche distinguere, cernere, contaminare, cercare radici  e, come i marinai, approdare (sia pur provvisoriamente) solo  dopo avere perlustrato a lungo il mare e senza illusioni sulla precarietà dell’esistenza. Dinanzi alle tragedie del nostro tempo si assume “il compito di lavorare per il ben-essere dell’umanità”, prima di tutto diradando le tenebre dell’ignoranza, dei pregiudizi, dei dogmi imposti con violenza.
  In queste pagine il Mediterraneo si configura come  metafora, esempio, spazio di relazione, (possibile)  ponte tra civiltà e culture. Esso fa  da  filo rosso di una veloce galoppata lungo i secoli in cui si è dispiegata la storia della filosofia occidentale con  legami più o meno profondi con il mare  che ne hanno accompagnato lo sviluppo. Filosofia che  “sa di mare” sin dalle origini greche quando il sapere si è sottratto alla sua forma oracolare ed è diventato opinabile e ha indicato con Talete l’onnipresenza generativa dell’ acqua. Essa non ha del tutto interrotto il rapporto con il Mediterraneo quando ha spostato l’epicentro a Roma né nel Medioevo.  Anche nell’Umanesimo e nel Rinascimento – secondo le esemplificazioni richiamate da Cavadi -nell’immaginario dei filosofi il mare continua a evocare apertura di orizzonti e società illuminate dalla fraternità. Nei cinque secoli successivi la filosofia si sposta nel cuore dell’Europa e sembra voltare la spalle al Mediterraneo, ma in molti autori a cui l’autore presta attenzione (anche quando, come Leone XIII, Leopardi, Gramsci e Pirandello non si tratta di filosofi ‘canonici’),  essa sulle rive del Mare-fra-le-terre raggiunge punte elevatissime.
Complessivamente, Cavadi sottolinea il valore della pluralità attestato dalle relazioni tra i popoli mediterranei: “ nessuna forma di vita è più vicina di un’altra alla perfezione. Nessuna tradizione può imporsi sulle altre. Il primo comandamento mediterraneo è tradurre le tradizioni, far sì che gli uomini diventino amici non nonostante le differenze, ma anche grazie ad esse” (così ancora l’antropologo pugliese Franco Cassano). Quanto al futuro, l’autore evidenzia la “svolta pratica” della filosofia (Davide Miccione), per cui essa cessa di essere una collezione di libri e tende a farsi “pratica del filosofare” che coinvolge la sfera soggettiva ed esistenziale di chi filosofa, si apre al mondo esterno e coinvolge interlocutori non-filosofi di professione, sollecita “governanti e governati ad affrontare le sfide epocali con le armi dell’intelligenza e del confronto razionale, temperando e orientando le pulsioni primordiali e le direttive del cervello rettile.”
E’ solo così che la filosofia, da teoria asettica, diventa  motore instancabile della vita reale degli individui e delle società , in un quadro complessivo di  “democratizzazione della ricerca filosofica”. In tal senso Cavadi ci  invita a modificare i parametri con cui si giudica un’epoca dal punto di vista filosofico: essa è grande quando conosce geni apicali , ma anche quando registra una diffusione capillare -  o per lo meno vasta -  del gusto e dell’abilità di pensare autonomamente. Con Alessandro Volpone si chiede:  “ Ammesso e non concesso che  vi sia un piccolo campione di gente che rappresenta in qualche senso la disciplina, perché supporre che tutta la disciplina si riduca a questo campione soltanto?” Il filosofo che “rompe i vetri delle serre” per offrire a sé e all’umanità la ricchezza dell’interazione con i non-filosofi possiede prerequisiti spirituali in senso laico: distacco dal denaro, dagli allettamenti della carriera e del successo; autocritica e ascolto delle critiche altrui; sete di conoscenza del vero e apertura all’alterità. Così filosofi di professione e filosofi per passione si sostengono a vicenda, sperimentando in varie situazioni il con-filosofare, nell’intento di spendere l’esistenza a pensare rettamente e a vivere in tendenziale coerenza con i propri pensieri. 
Tutto quanto sin qui detto è davvero molto importante nel proporsi come via di mediazione, ma, in mezzo a tanta rilevanza, si affaccia almeno un dubbio: la filosofia, che conduce a farsi una propria visione del mondo, un proprio modo di condurre la vita, può davvero aiutare a superare le differenze, dopo che le ha ottimamente create? Quali sono - e dove si vedono in atto - gli strumenti del confronto dialogico  tra coloro che si pongono le stesse domande con nessun altro interesse che decifrare il significato dell’esistere e del vivere?  Forse Cavadi si illude per eccesso di ottimismo: Il frastuono delle polemiche vane e amare suggerisce ben altro...Dopo aver prodotto tante idee, occorre che l’umanità esplori a fondo la via per confrontarle costruttivamente.

Rosalia Leone
https://www.zerozeronews.it/mediterraneo-un-mare-di-pensieri/



Nessun commento: