venerdì 5 giugno 2020

LA TEOLOGIA QUEER DI TERESA FORCADES




“ADISTA – Segni nuovi”
6.6.2020

LA TEOLOGIA QUEER DI TERESA FORCADES

Queer è nato come parolaccia inglese per denigrare gli omosessuali: significherebbe qualcosa come “strano”, “bizzarro”, che ha “attraversato” verso l’altra sponda. Negli anni Novanta del secolo scorso alcuni attivisti britannici l’adottarono, provocatoriamente,  per auto-qualificarsi. Da allora gira per il pianeta, anche in Italia. Come tutti i neologismi, la sua accezione semantica fluttua ma tende a prevalere l’uso di adoperarlo per indicare l’idea che il binomio “maschio/femmina” non esaurisce la gamma delle possibilità antropologiche: tra i due poli tradizionali, infatti, si spianerebbe una serie interminabile di posizioni intermedie dai punti di vista biologico (genetico-anatomico), psicologico (la coscienza della propria identità sessuale), sociologico (il ‘genere’ nel senso di ruolo sociale che ognuno gioca nel contesto culturale di appartenenza) e affettivo (l’orientamento etero- o omo-sessuale). Teresa Forcades è medico e studiosa della psicanalisi lacaniana: per questo, nel libro intervista Siamo tutti diversi !, a cura di Cristina Guarnieri e Roberta Trucco (Castelvecchi, Roma 2019), si trovano istruttivi chiarimenti per orientarsi in queste problematiche, oscurate dall’acredine delle polemiche sulle cosiddette “teorie gender” , alimentate soprattutto da esponenti della destra culturale.
Ma il titolo del volume ha un sottotitolo: Per una teologia queer. Infatti la Forcades non è solo un medico, ma anche una suora benedettina: in questa veste ha provato, in evidente tensione dialettica con il magistero ufficiale della chiesa cattolica, a dare un fondamento teologico alla categoria “queer” e uno stimolo critico, dal versante di questa categoria, alla sonnacchiosa dottrina teologica dominante. L’impresa, indubbiamente interessante, apre orizzonti inediti, ma suscita non poche perplessità.
Gli orizzonti originali sono imperniati sull’idea che il concetto di “queer” traduce, in linguaggio contemporaneo, la convinzione tipicamente cristiana della “persona intesa come costruzione, dinamismo, come un’identità che non è fissa e non risponde ad affermazioni quali, ad esempio: «Io mi definisco così e ho una stabilità che dura per sempre». Si avvicina al concetto teologico di homo viator – ma potremmo anche dire mulier – per il quale la persona è essenzialmente peregrina”. Su questo registro l’autrice inanella tutta una serie di considerazioni illuminanti: “Siamo erranti, ogni giorno disposti ad apprendere qualcosa di nuovo e a dare un fondamento a noi stessi, proprio come Dio è creatore. Questo significa, in forma radicale, essere a immagine di Dio”. Ciò che la Forcades enuncia sul piano teorico risuona ancor più convincente alla luce dei suoi racconti autobiografici perché, sinora, è stata una donna davvero capace di rimettere in discussione ogni assetto provvisorio della sua vicenda umana, sino ad abbracciare l’impegno politico all’interno delle formazioni improntate al nazionalismo di ‘sinistra’ in Catalogna e, più ampiamente, alla critica al capitalismo globale.
Dove, allora, le perplessità?
In maniera per me sorprendente, la poliedrica e genialoide autrice – invece di denunziare l’infondatezza biblica (o, per  lo meno, l’estrema opinabilità) dei principali dogmi cristiani e cattolici – parte da essi, come dati indiscutibili, per tentarne un’ermeneutica compatibile con le ragioni del femminismo e, più in generale, del progressismo. Così assistiamo, lungo la conversazione con le due intervistatrici, all’impresa di leggere la Trinità, la divino-umanità di Gesù e addirittura i dogmi mariani (incluso il concepimento verginale di Gesù senza intervento di un maschio) non come superfetazioni ecclesiastiche basate su equivoci esegetici oggi abbondantemente chiariti dai biblisti, ma come verità rivelate da Dio  che, in quanto tali, si possono solo accettare o rifiutare. Peccato! Questa metodologia teologica renderà il discorso così suggestivo della Forcades ostico ai lettori e alle lettrici che, personalmente credenti o meno, sanno -sulla base dei testi biblici – che avere ‘fede’ non significa certo inghiottire elucubrazioni paradossali come koan zen (Dio Uno e Trino; Gesù una persona divina con due nature: una divina e una umana; Maria vera madre ma moglie di nessun mortale), quanto accettare il messaggio evangelico dell’universale parità di dignità di ogni essere umano (a prescindere dal colore della pelle, dall’etnia di appartenenza, dalle convinzioni in campo religioso, dal sesso biologico, dal ruolo di genere , dall’orientamento affettivo…). Insomma: accettare senza chiusure pregiudiziali quel messaggio evangelico che la stessa Teresa Forcades così appassionatamente sa esporre anche in questo suo libro.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

3 commenti:

Bruno Vergani ha detto...

Avevo letto qualcosa di questa autrice apprezzando il suo valorizzare ogni diversità e anche per quel suo cogliere l’importanza di un audace costante e dinamico rinnovamento personale. Che mi ha lasciato perplesso è proprio quanto annoti riguardo l’accettazione di “tutti” i dogmi cattolici che, oltre ad essere sovente incompatibili nel merito con quanto afferma l’autrice, sono anche espressione paradigmatica di inamovibilità, dato che sono stati concepiti col preciso scopo di fissare qualcosa una volta per tutte. Avevo tentato una ricerca per comprendere i passaggi logici di questa contraddittoria posizione della Forcades senza trovarli. In attesa di trovarli ho provvisoriamente concluso che la suora assomiglia a un triangolo isoscele con negli angoli alla base a sinistra la Chiesa, a destra l’illuminismo ateo e lassù nell’angolo al vertice il suo io a dominare entrambi, mentre qualcuno, per motivi che mi sfuggono, l’applaude.

germano federici ha detto...

Ho letto due dei suoi libri, certamente memorabili, come esempio conclamato di di doppia scissione non tra fede e ragione, ma dentro la fede e dentro la ragione. La scissione interna alla ratio di medico salva la sua fede su dogmi fondamentali, consentendole di far convivere la teoria dell' "ex ovo omnia" (biologia del Settecento) uovo beninteso fecondato (biologia dell'Ottocento), con la verginità di Maria prima durante e dopo il parto, ma non le consente di accettare la differenza maschio/femmina come base essenziale per contrarre il matrimonio cattolico. Combatte eroicamente da medico per estrarre il frustolo dall'occhio, senza avvedersi della trave che lo attarversa e acceca.

Maria D'Asaro ha detto...

Un triplo grazie: ad Augusto per la recensione e a Bruno Vergani e Germano Federici per gli apprezzati commenti di contorno.