domenica 23 gennaio 2022

Etty Hillesum, una mistica laica

 



ETTY HILLESUM, UNA MISTICA LAICA

La barbarie nazi-fascista (non la prima né l’ultima nella storia dell’umanità) ci sarebbe meno impressa nell’animo se fra le vittime non ci fossero stati testimoni giganteschi anche dal punto di vista del pensiero.  Etty Hillesum (assassinata ad Auschwitz non ancora trentenne nel 1943) è tra questi personaggi. La statura intellettuale ed etica di lei si va profilando con più nitore man mano che si diffonde la conoscenza dei suoi scritti, meritoriamente tradotti dall’olandese anche in italiano per i tipi dell’Adelphi: il Diario e le Lettere.  Impossibile leggerli e non innamorarsi dell’autrice, non partecipare alla sua splendida personalità e alla sua tragica fine come se fosse un’amante, una sorella, una figlia. 

Come prima introduzione alla sua opera ci può accompagnare con profitto l’agile, intenso, libretto di Daniele De Vecchi, Etty Hillesum mistica. La ragazza che non sapeva inginocchiarsi, Pazzini Editore, Verucchio (RN): a patto, però, da non lasciarsi depistare dal termine “mistica”. Etty è infatti un’ebrea educata in una famiglia borghese, lontana da appartenenze confessionali e ancor più da devozionismi bigotti. Ancora tre anni prima del suo martirio decide di abortire: non perché il figlio fosse stato concepito all’interno della relazione con un vedovo mai risposatosi, ma per non aggiungere “un altro infelice a quelli che vivono su questa terra”. I tedeschi hanno già invaso l’Olanda ed Hetty chiede di lavorare a Westerbock, un campo di smistamento dei suoi connazionali, destinati allo sterminio. Le sofferenze che l’accerchiano, sino a soffocare essa stessa, le ravvivano la dimensione spirituale: una spiritualità ampia, articolata, sfaccettata in cui è certamente riconoscibile la venatura religiosa, ma a tinte fortemente originali. Come in molti mistici cui attingeva, quale Meister Eckhart, ai confini con l’eresia: “Ho ritrovato il contatto con me stessa, con la parte migliore e più profonda del mio essere, quella che io chiamo Dio”. Il suo  Dio è poco ‘teistico’, assai  poco isolato e lontano nella sua onnipotenza imperscrutabile. Se la religione, nell’accezione dominante, è conquista e strumentalizzazione del Divino, la Hillesum ne è agli antipodi: ella ne avverte la presenza per sottrazione, non per addizione; per resa, non per arrembaggio. Come scrive efficacemente De Vecchi, “il cammino  di affinamento porta Etty alla radice dell’esperienza spirituale: il superamento dell’egocentrismo e delle sue pulsioni che imprigionano l’io nelle maglie dell’illusione” (p. 22). 

E’ questa spiritualità così ‘laica’ che le consente un’accettazione commovente delle tragedie di cui è spettatrice e protagonista: “Ho una fiducia così grande: non nel senso che tutto andrà sempre bene nella mia vita esteriore, ma nel senso che anche quando le cose mi andranno male, io continuerò ad accettare questa vita come una cosa buona”. 

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2 commenti:

Armando Caccamo ha detto...

Come quasi sempre accade, le tue recensioni dei libri che scegli di commentare sono un invito quasi obbligato alla loro lettura. La scelta degli argomenti non può che condurmi in libreria. Grazie.

Andrea Cozzo ha detto...

Bellissima recensione! Grazie