lunedì 22 maggio 2023

OLTRE BIAGIO CONTE: DALL'ASSISTENZA EROICA ALLA PROGETTUALITA' POLITICA


 "Appunti sulle politiche sociali" 2023/1 (n. 242)

Gruppo solidarietà - Maie di Maiolati

Volontariato e politica. Riflessioni dopo la morte di Biagio Conte 

La maggior parte degli italiani aveva lentamente disperso la memoria di un giovane palermitano che, agli inizi degli anni Novanta, era stato rintracciato dalla trasmissione televisiva “Chi l'ha visto?” e indotto così a ritornare, sia pur temporaneamente, a casa. Ma la figura romanticamente medievale di questo pellegrino, inseparabile da bastone e cane, che - autoproclamatosi francescano, pur senza aderire a nessuna istituzione ecclesiastica -  indossa un saio verde  e si dedica ad assistere, sotto i portici della stazione ferroviaria principale,  barboni di ogni provenienza etnica, nella sua città diventerà invece sempre più celebre. Scrittori come Giacomo Pilati e registi come Pasquale Scimeca gli hanno dedicato libri e film; la stampa  cartacea e on line, le radio e le televisioni non solo locali lo hanno seguito per tre decenni soprattutto quando ha optato per clamorose forme di protesta (digiuni o pellegrinaggi a piedi con la croce sulle spalle) a favore dei suoi senza-tetto (spesso immigrati non ancora regolarizzati).

Nessuno però si sarebbe aspettata l'ondata, anzi la marea, di imponente partecipazione ai suoi funerali di vescovi e preti, autorità civili, cittadini  di ogni estrazione sociale, etnica e culturale. E poiché solo uno snobismo ingiustificabile può negare che vicende come questa pongano domande ineludibili, provo, quasi telegraficamente, a inanellare alcune considerazioni.

La prima riflessione è che anche nella nostra epoca di “passioni tristi”, di disincanto rispetto agli ideali seduttivi, di appiattimento su una grigia  routine quotidiana in cui tutti gatti risultano grigi, certe scelte simboliche particolarmente radicali continuano a toccare profonde corde emotive. Chi ha il coraggio di adottare simili gesti profetici merita non solo rispetto, ma direi anche ammirazione e gratitudine, perché ci ricorda che si può ancora remare contro corrente.

Una seconda considerazione riguarda non la sfera intima, coscienziale, intenzionale di fratel Biagio, quanto la lettura che gli altri, vicini o estranei, fanno del suo stile, del suo approccio, del suo metodo. Qui sono in gioco non certo i meriti soggettivi (di cui nessun uomo può farsi giudice), bensì i criteri-guida delle strategie operative oggettive (sulle quali l'esame critico è lecito, anzi doveroso). Quali sono stati i suoi orientamenti di fondo ?

Quando Biagio Conte tornò a Palermo, dopo la “fuga” ad Assisi, venne a trovarci al Centro sociale “S. Francesco Saverio” che avevamo avviato da alcuni anni nel quartiere Albergheria, noto soprattutto per il mercato di Ballarò. Come facevamo con tutti gli aspiranti volontari, abbiamo sinteticamente presentato le linee essenziali del nostro statuto e della nostra pedagogia. Del tutto legittimamente, fratel Biagio non si è ritrovato su quasi nessun punto del nostro programma: né sulla impostazione collettiva (per cui le decisioni venivano assunte assemblearmente, senza leaderismi verticistici); né sull'ispirazione a-confessionale (per cui il Centro era gestito da un consiglio direttivo eletto dai soci, provenienti  da una pluralità di storie ideali e ideologiche, e non si interpretava come espressione di alcuna chiesa); né sulla finalità principale di tipo 'politico' (per cui ritenevamo di dover supplire le istituzioni sono temporaneamente e, al di là di ogni logica assistenzialistica, di dover sollecitare la gente del quartiere a esigere che le amministrazioni pubbliche attivassero i servizi essenziali per i bambini, le donne, gli anziani, i disoccupati, gli immigrati). 

Così le nostre strade, in questi trent'anni,  si sono snodate in parallelo, sia pure a un solo chilometro di distanza:   ovviamente senza polemiche, anzi con occasionali, cordialissimi, incontri fra persone accomunate dal fronte della solidarietà. 

Che bilancio è possibile oggi dopo una storia più che trentennale?

Innanzitutto – ed è la mia terza considerazione – che nell'immaginario collettivo non c'è partita: l'approccio dell'eroe che, almeno istituzionalmente, non condivide con nessun altro responsabilità di gestione della sua opera sociale, lottando per così dire col proprio corpo in difesa degli ultimi, è decisamente più apprezzato del metodo, alternativo, di quanti, nella stessa città e nella stesso periodo di tempo, hanno provato a fare squadra, a condividere onori e oneri, a corresponsabilizzare i fruitori dei propri servizi mirando ad abbattere la barriera fra chi dà e chi riceve. Nessuno stupore: non è solo adesso, nella “società dello spettacolo”, che certi personaggi e certe vicende levitano (pur senza proporselo) nella sfera del mito ed altri personaggi, con altre vicende, restano (temporaneamente o definitivamente) nell'ombra. Tuttavia chi ha visto ha il diritto, e  il dovere, di testimoniare: prima di fratel Biagio, durante gli anni della sua splendida testimonianza (qui andrebbe bene il termine più vicino all'etimologia greca: martirio) e anche dopo la sua prematura scomparsa (per tumore, a meno di sessant'anni), ci sono stati e ci sono preti e suore, laici e laiche  di ogni appartenenza culturale, che, sia pure optando per stili di vita più discreti, meno appariscenti, hanno speso il meglio delle proprie energie per combattere il sistema di dominio mafioso, lo sfruttamento della prostituzione, la diffusione delle droghe pesanti, l'ignoranza dell'alfabeto civico: insomma, come si usa dire negli ambienti del Terzo Settore, per insegnare a pescare più che per distribuire pesci agli affamati. 

Questa considerazione non mira a stabilire graduatorie. Ognuno segue il proprio “demone” interiore. E' importante però bilanciare con la lucidità della ragione i sussulti dell'emotività e non dare per scontato che il significante debba prevalere sul significato al punto da renderlo irrilevante. In un piccolo saggio dedicato a Tommaso Moro, Libertà nel mondo (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2012), Hans Kung indaga sul paradosso di un personaggio che, pur vivendo in pienezza le gratificazioni  mondane del potere politico, degli affetti familiari e delle proprietà economiche, se costretto dalle vicende storiche a scegliere fra la fedeltà alla propria coscienza e la sottomissione al sovrano inglese, non esita a rinunziare alla sua stessa vita biologica, rivelando così – al di là delle apparenze – la radicalità della sua fede. In un'ottica simile, Romano Guardini, nel saggio Il santo nel mondo incluso nel primo volume di Ansia per l'uomo (Morcelliana, Brescia 1958), ritiene che ormai il “santo della straordinarietà” debba lasciare spazio al “santo della presenza modesta”, più consono all'epoca moderna in cui, “al posto della personalità dominatrice, succede il team, o gruppo di lavoro”: “nel gruppo nessuno si distingue; ma ognuno è importante. Ciascuno lavora al suo posto; ma con responsabilità per la causa comune. […] il santo non sarebbe più caratterizzato da una forma di esistenza distinta dal resto della vita. Egli è colui che opera ciò che è giusto e buono, nel nascondimento. Ma con una purezza d'intenzione che si accorda sempre più profondamente con l'amore di Dio, e si libera sempre più perfettamente dall'egoismo fino a raggiungere una libertà che non ha nulla da fare con l'originalità e la genialità, ma che si realizza completamente nell'intimo della persona”. Poiché l'amore per Dio si può manifestare solo amando gli esseri viventi, ci si potrebbe chiedere -  procedendo oltre Guardini – se la santità odierna non possa realizzarsi, oggettivamente, anche in soggetti estranei a ogni problematica di ordine teologico-religiosa. 

Una quarta riflessione concerne ancora l'aspetto teologico-ecclesiale di questa vicenda. I decessi illustri ci stanno abituando al grido (non si sa mai quanto) popolare: “Santo subito!”. Neppure in questo caso poteva mancare la richiesta di una rapida canonizzazione di una persona che non si è limitata a lavorare “per” i poveri né “con” i poveri, ma “da” povero fra “poveri”. Nel corso di un'intervista sulle pagine siciliane di “Repubblica” don Cosimo Scordato, co-fondatore del Centro sociale “S. Francesco Saverio”, glissa elegantemente sulla questione della “beatificazione” del missionario: “Gesù dice: «Beati i poveri». Lo sono già quindi. Come lo è stato già Biagio nella sua vita: beato. La gente fa riferimento alla sua figura per mettersi in discussione, segue la sua testimonianza. Al di là di ogni eventuale processo di beatificazione che potrà arrivare”. La risposta, mirata a relativizzare la questione della proclamazione canonica delle virtù “eroiche” del defunto, va però letta – se si vogliono evitare equivoci bimillenari - alla luce di tutta la pluriennale predicazione dello stesso don Scordato, attento lettore e seguace della “Teologia della liberazione”: come hanno dimostrato inequivocabilmente gli studi esegetici di p. Dupont, nel Discorso della Montagna Gesù proclama “beati” i poveri che lo circondano non perché sono poveri, ma perché nel suo progetto e nella sua speranza sta avviandosi, già qui e già ora,  una rivoluzione (“il Regno di Dio”) grazie alla quale non lo saranno più. Gesù non è pauperista. Ama i poveri perché odia la povertà e li vuole liberare dalle sue catene. Se non si sottolinea abbastanza questa valenza contestatrice, disturbante, del messaggio evangelico si rischia di identificare il “beato” cattolico con l'ennesima “vittima sacrificale” di un sistema socio-economico ritenuto immodificabile. 

Questi accenni teologici possono far luce sulla mia quinta, e ultima, riflessione suggeritami dalla straordinaria avventura del nostro “povero” cristiano. Per fratel Biagio la giunta municipale ha proclamato sette giorni di lutto cittadino: a mia memoria, mai successo nulla di simile negli ultimi settant'anni. E non è stata la giunta progressista di Leoluca Orlando che, pur tra contraddizioni e ritardi, si è sempre distinta per una speciale attenzione all'accoglienza dei flussi migratori nel Mediterraneo, bensì la giunta di centro-destra di Roberto Lagalla, sostenuta da Fratelli d'Italia e Lega.  Ai suoi funerali sono accorsi a decine esponenti politici, regionali e nazionali,  di ogni schieramento: anche di quegli schieramenti che da decenni sono impegnati a bloccare con ogni mezzo, lecito o meno, gli arrivi di immigrati in Sicilia; che praticano politiche clientelari e sperperano in maniera scandalosa il denaro pubblico; che non hanno mosso un solo dito per sostituire – o per lo meno integrare – l'azione emergenziale di Biagio e dei suoi collaboratori con iniziative istituzionali, sistemiche, stabili nel tempo.  E' eccessivo sospettare che tanto concorso di autorità che, in questi decenni e ai nostri giorni, hanno ignorato i drammi di cui Biagio si è fatto carico come ha potuto, sia solo l'ostentazione  di una solidarietà pelosa, strumentale? E' eccessivo temere che l'esaltazione di chi ha aiutato i poveri serva, più o meno consapevolmente, per distrarre l'attenzione da quelle (sempre più rare, fioche e isolate) voci che a Palermo e in Sicilia chiedono il superamento delle condizioni strutturali di povertà? Don Helder Camara, arcivescovo di Recife, ripeteva, come è noto, che se aiutava i poveri della diocesi si diceva che fosse un buon prete, ma, se si chiedeva a voce alta perché ci fossero tanti poveri, veniva tacciato di essere un comunista. Il concorso di politici e di amministratori pubblici intorno alla bara di fratel Biagio Conte sarebbe stato così numeroso e così unanime se in vita egli avesse esortato alla “giustizia sociale” con la stessa intensità con cui ha chiesto “solidarietà cristiana”? Se avessero fatto parte del suo vocabolario abituale anche parole come “mafia”, “democrazia”, “Costituzione” ? Solo le decisioni dei prossimi mesi diranno chi è accorso al feretro del missionario solitario per sposarne, nell'ambito delle proprie competenze, la causa e chi ha ipocritamente approfittato della commozione generale per darsi una spolveratina alla coscienza. Palermo, come ogni altra città italiana afflitta da piaghe sociali, ha certo bisogno di eredi sulla scia e sul modello profetici di Biagio Conte, ma almeno altrettanto di aggregazioni politico-culturali che interloquiscano criticamente con le istituzioni, ne denunzino le collusioni con i gruppi affaristico-mafiosi, offrano agli amministratori proposte innovative e li incalzino affinché essi le traducano in fatti tangibili. Certamente solo ai primi le autorità cittadine, sponsorizzate dai Totò Cuffaro e dai Marcello Dell'Utri (appena usciti da anni di galera per collusione con i clan mafiosi), riserveranno funerali imponenti. Ma pazienza. Chi lavora per rendere meno atroce la società deve mettere in conto che la gratitudine sarà  l'ultima reazione che potrà attendersi. 

 

Augusto Cavadi 

www.augustocavadi.com

 

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