giovedì 28 agosto 2025

L'ECONOMIA ESIGE POLITICA, LA POLITICA ESIGE ETICA, L'ETICA ESIGE...?

Veramente l’economia (come scienza e come pratica sociale) ha bisogno di più politica per essere governata, controllata, orientata?

La risposta secca, netta, è certamente errata. Infatti è vero che l’economia si è svincolata da alcune ideologie e prassi politiche, ma non da tutte indiscriminatamente. Si è autonomizzata dalle politiche in cui sia ancora centrale il ruolo della società, dello Stato, della giustizia, dell’equità, della solidarietà internazionale…; non certo dalle politiche incentrate sul primato dell’individuo, della produttività, della concorrenza, del consumo, del sovranismo internazionale…

Una considerazione simile va avanzata se passiamo dal rapporto economia/ politica al rapporto politica/etica. Davvero la politica si è disancorata dall’etica? Da alcune versioni dell’etica, certamente. Ma non da tutte. Infatti la maggior parte delle formazioni politiche in Italia e nel mondo possono rinnegare (o, almeno, di mettere fra parentesi) l’etica pacifista, ma con ciò stesso non possono non adottare un’etica militarista; possono rifiutare l’etica internazionalista, ma a costo di sposare l’etica nazionalista; possono deridere l’etica ambientalista, ma solo abbarbicandosi ancor più all’etica antropocentrica…Insomma: non c’è politica, per quanto perversa, priva di una sua etica. Tale etica spesso non è sbandierata alla luce del sole: resta celata, innominata, inosservata, ma proprio così permane a operare indisturbata. Questa strategia dell’occultamento è favorita dalla resistenza psicologica, anche in osservatori ‘progressisti’, a parlare di etica neo-nazista o di etica mafiosa (si preferisce la scorciatoia di bollare i nazisti o i mafiosi come “privi di etica”). Ma il nostro silenzio non le cancella.

 

L’orizzonte etico è l’ultimo orizzonte fondativo?

Se queste precisazioni concettuali e linguistiche risultano condivisibili, posso tentare di ampliare lo scenario.

L’economia va subordinata a certe politiche, non alla politica indiscriminatamente, così come la politica va subordinata a certe etiche, non all’etica tout court. Ma queste etiche ragionevoli, realistiche, propositive (di varia matrice teologica e filosofica) costituiscono l’orizzonte fondativo ultimo? In questi anni mi sono convinto che, se etiche del genere sono necessarie per salvarci come umanità, non sono però sufficienti.

Sono necessarie: se un’etica comporta chiarezza mentale, rigore comportamentale, fatica della ricerca, senso del dovere, tensione alla coerenza, fedeltà ai propri principi, essa – attraverso l’incarnazione in uomini e donne viventi – può condizionare, positivamente, vari progetti politici che, a loro volta, possono indirizzare le opzioni economiche.

Ma anche le migliori etiche proposte al dibattito pubblico si rivelano, alla distanza, insufficienti. Stentano a farsi “senso comune” (Antonio Gramsci) e – tranne momenti tragici della storia personale e/o collettiva – vengono come erose dalla quotidianità, dai suoi compromessi, dal suo tran-tran. Per mantenersi operanti, esse hanno bisogno di un “supplemento d’anima” (Henry Bergson): esigono un surplus di inspirazione, di slancio, di entusiasmo che renda spontanea, se non gioiosa, la vita etica. Molte etiche nella storia sono state sostenute, animate, da queste motivazioni più-che-razionali che, in mancanza di meglio, possiamo denominare “spirituali”.

Chiudo dunque (provvisoriamente!) il cerchio: l’economia ha bisogno di ‘buone’ politiche; le ‘buone’ politiche si fondano su ‘buone’ etiche; ma queste ultime necessitano, per essere attive e trasformative, di   ‘buone’ spiritualità. Le grandi battaglie di civiltà – per l’ambiente, per la pace, per la giustizia sociale, per il superamento delle guerre, dei razzismi, delle mafie - hanno bisogno di simboli, di miti fondativi,  di poeti, di musiche, di canzoni, di romanzi, di film. Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela (e i loro splendidi compagni di lotta, quasi sempre ignoti agli storici) avrebbero resistito tanto a lungo senza una dimensione spirituale?

La spiritualità laica come terreno comune da cui ripartire

Tradizionalmente tale dimensione è stata veicolata da religioni. Esse, almeno in grandi aeree del pianeta come America settentrionale, Europa, Russia, Cina, sono in crisi: scontano secoli di timidezze, di ambiguità e non di rado di vere e proprie complicità. Possiamo assistere al loro lento, ma inesorabile, naufragio con indifferenza o, addirittura, con compiacimento. Ma attenzione: sono immensi gusci vuoti che però hanno veicolato dei valori umanamente validi. Si lasci pure che i gusci si decompongano, ma si recuperino alcuni valori che – in misura differente secondo i casi - custodivano e tramandavano: il gusto del silenzio, il piacere della contemplazione, la familiarità con la lettura di Testi, la comunione con la natura, la compassione per la sofferenza dei propri simili…Sono valori che meritano di essere  preservati e valorizzati. E’ ciò che, in parte, sta tentando papa Francesco su un registro comunicativo ‘laico’, appellandosi all’umanità degli uomini, prescindendo da appartenenze ecclesiali  e opzioni di fede (e suscitando dunque la fronda dei bigotti della sua Chiesa).

Già: ciò di cui abbiamo urgenza oggi è una spiritualità “laica”, antropologica, naturale. Una spiritualità “semplicemente” umana (intendo che assuma il meglio dell’umanità, ricordando, con san Tommaso d’Aquino,  che non tutto ciò di cui l’uomo è capace è “umano”).

Mi ha colpito leggere in un libro del filosofo francese contemporaneo  André Comte-Sponville (significativamente intitolato Lo spirito dell’ateismo. Introduzione a una spiritualità senza Dio): “la spiritualità è una cosa troppo importante perché la si lasci in mano ai fondamentalisti” (p. 8). Molti anni prima, in area spagnola, Marià Corbì aveva pubblicato il corposo volume (solo adesso disponibile in traduzione italiana) Verso una spiritualità laica. Senza credenze, senza religioni, senza divinità. Su questa transizione insistono molti degli autori ospitati nei diversi volumi della Collana editoriale “Oltre le religioni” delle Edizioni Gabrielli. Ma, poiché siamo partiti dall’economia, mi pare significativo che alla necessità di una valida, condivisa, praticabile spiritualità siano pervenuti anche due stimati economisti (sia pur ‘eretici’ rispetto all’ortodossia dominante nel loro campo di indagine) della cui amicizia mi onoro.

Uno è Serge Latouche che, nel 2019, ha pubblicato Come reincantare il mondo. La decrescita e il sacro (Bollati Boringhieri, Torino) dove, tra l’altro, scrive che un’economia non predatoria esigerebbe “un certo reincanto del mondo” da intendere non “nel senso dell’emergere di una nuova mitologia e auspicare il ritorno degli dei”, ma come “ristabilire la nostra capacità di meraviglia di fronte alla bellezza del mondo e fare appello a una sorta di spiritualità laica” (p. 10).

Un altro è Maurizio Pallante che nel 2021 ha pubblicato Spiritualità, dono del tempo, contemplazione. Un approccio laico (Edizioni Messaggero, Padova) in cui sostiene che la spiritualità “si manifesta in ogni individuo in forme diverse che, nel loro insieme, delineano un paradigma culturale alternativo a quello dominante nelle società che hanno finalizzato l’economia alla crescita della produzione di merci”; all’interno del quale “la meditazione è più importante della storia, anche se l’azione non è sottovalutata”; “la contemplazione della bellezza prevale sulla ricerca dell’utilità, la durata nel tempo sull’effimero, la collaborazione  e la solidarietà sulla competizione, l’attenzione nei confronti degli altri sull’indifferenza, l’ equità sulle diseguaglianze tra gli esseri umani, il biocentrismo sull’antropocentrismo, le relazioni umane disinteressate sui rapporti mercantili, il tempo degli affetti sul tempo del lavoro” (pp. 32 – 33).

Augusto Cavadi

“Viottoli”, anno XXVIII, n° 1/2025

3 commenti:

Alberto Genovese ha detto...

A proposito di etica della politica, mi dicessero di coniare un motto per la (cosiddetta) sinistra,proporrei "Nessuno resta indietro". Certo, il latino _nemo relinquatur_ e' più suggestivo. Ma temerei l' accusa di radical-chic.

Mauro Matteucci ha detto...

Purtroppo oggi assistiamo a una completa scissione tra economia/politica/etica con conseguenze disastrose nei rapporti tra gli stati e le persone: le guerre e la società dell'inimicizia e dell'odio.

Bruno Vergani ha detto...

Condivido molto l’idea che l’etica abbia bisogno di una dimensione spirituale per non esaurirsi nella pura volontà. Direi anzi che la spiritualità, come intesa nell’articolo, ci libera da un certo attivismo morale che rischia di scivolare nel volontarismo, nella precettistica moralistica, nel militare narcisistico. Rende il vivere etico naturale, spontaneo, pluralistico, meno gravato da doveri e più animato da un respiro interiore.