domenica 12 ottobre 2025

Domenica 12 ottobre 2025: i quattro stadi della violenza e la radice più profonda

 

Domenica 12 ottobre 2025

Riflessione iniziale della “Domenica di chi non ha chiesa”

Presso “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo

L’albero della violenza e la sua prima radice: l’antropocentrismo

In questi ultimi anni la violenza nel mondo, probabilmente, non è aumentata rispetto ai suoi livelli abituali, ma certamente se ne è accresciuta la percezione da parte di noi occidentali. Suppongo di non essere il solo a sentirmi schiacciato come da una lastra di marmo sul petto e ad essere tentato dallo sconforto se non proprio dalla disperazione.

Ognuno di noi tenta di sopravvivere ricorrendo a ciò che gli resta delle proprie risorse spirituali.  A cosa può fare appello chi di noi viva una spiritualità laica, sostanzialmente coincidente con la declinazione pratica della filosofia, intesa dunque come riflessione agente e azione riflessiva?

Ad una duplice mossa: cercare di capire come stanno le cose e, man mano, desiderare di adeguare la propria postura nel mondo a ciò che va conoscendo.

Ciò che mi pare di aver capito è che la violenza somigli ad un grande albero di cui vediamo agitarsi rami, foglie, frutti, ma che resiste ai venti per la solidità del suo tronco e ancor più per la profondità delle sue radici.

Gli scontri bellici, i bombardamenti sulle città, le stragi delle popolazioni inermi sono la corona agitata dell’albero o, se si preferisce un’altra immagine, la punta dell’iceberg. A questo primo livello possiamo reagire limitatamente, soprattutto facendo pressione (anche con manifestazioni pubbliche) sui nostri governi che – al di là delle etichette partitiche – dalla proclamazione della Costituzione italiana a oggi hanno più volte disatteso l’articolo 11 sul ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Qui il pericolo è assuefarsi alla cronaca sempre più spietata e inchiodarsi all’idea (per altro insegnataci dalla prima elementare in poi) che lo scontro armato sia l’unico, inevitabile, modo di gestire i conflitti politici. Che tra uccidere ed essere uccisi non ci siano alternative praticabili.

Come mai, allo scoppio di una guerra, gli obiettori di coscienza sono sparute minoranze non solo là dove non viene riconosciuto il diritto alla renitenza, ma anche nei Paesi come l’Italia in cui una legislazione avanzatissima lo prevede? Qui ci spostiamo a un secondo livello dove incontriamo la tesi di quanti vedono nell’attitudine alla militanza armata un aspetto, e in qualche misura un riflesso e un effetto, della cultura patriarcale. Con questa espressione (imperfetta come molte definizioni) non si intende ribadire la vecchia e infondata teoria secondo cui i maschi sarebbero geneticamente portati alla lotta fisica, bensì che in quasi tutte le società attuali la mentalità maschilista (condivisa, e trasmessa alle nuove generazioni, da molti uomini e da molte donne) informa e plasma istituzioni, rapporti economici, costume quotidiano, relazioni di coppia e in famiglia. Con una metafora si potrebbe dire che la violenza sistemica, strutturale, abituale ai danni delle donne (per cui si è potuto affermare che esiste una sola persona più misera del più misero degli sfruttati: sua moglie) costituisca una sorta di palestra in cui (senza volerlo e senza saperlo) ci alleniamo ad anestetizzare la nostra sensibilità per la dignità altrui.

La violenza maschile contro l’altra metà del cielo è dunque la madre di tutte le violenze? Per alcuni anni l’ho ritenuto, ma – soprattutto grazie a mia moglie Adriana – ho intuito che occorra scavare più a fondo, in direzione delle radici, attingendo un terzo livello: l’atteggiamento di violenza spontanea, data per scontata, nei confronti dei cuccioli d’uomo. La “pedagogia nera” – intessuta di divieti, minacce, punizioni fisiche, ricatti affettivi – non può che creare due tipi di soggetti: o passivi, remissivi, perfetti esecutori della “banalità del male” oppure ribelli, prepotenti, sadici, talora in grado di ipnotizzare le folle e dominarle dittatorialmente.

Mentre il rapporto dei genitori verso i figli è segnato da ambiguità – per cui  alterniamo violenza e cura, sfruttamento e difesa -, c’è un quarto livello, ancora più vicino alle radici, in cui la nostra postura di padroni onnipotenti si dispiega senza remore né culturali né psicologiche: il livello del nostro rapporto con gli altri animali. Ormai perfino la caccia, in cui permaneva un briciolo di relazione da vivente a vivente, si va estinguendo per lasciare il posto all’anonimato invisibile di immensi prigioni in cui miliardi di esseri senzienti vengono concepiti, partoriti, allevati in condizioni di tortura, macellati senza troppe cautele. Non è un caso che i lager nazisti siano stati progettati e costruiti avendo a modello i mattatoi degli Stati Uniti d’America. Si è tragicamente accettato l’invito orribile di papa Pio XII che, accogliendo in visita i macellai di carni animali in Vaticano, li esortò a considerare le urla di bovini e ovini “non dissimili dai clangori di macchine metalliche”. 

La violenza bellica dunque zampilla da una tradizione patriarcale-maschilista che, a sua volta, presuppone una propensione all’abuso (non necessariamente né esclusivamente sessuale) dei minori che attinge la linfa dal terreno invisibile dello sfruttamento impietoso degli altri viventi senzienti. Tutte queste versioni della violenza hanno – ciascuna – un molteplice varietà di cause e di concause, ma (secondo il titolo di un ormai vecchio libro di Mario Capanna) “il fiume della prepotenza” ha una sorgente comune: la follia dell’antropocentrismo. Bibbia, Corano, Modernità tecno-capitalistica, Marxismo, Nazi-fascismo…tutte le principali ideologie in cui noi occidentali ci siamo pensati e rispecchiati hanno in comune la convinzione che l’essere umano (come individuo o come società o come Stato o come specie umana) sia il “centro”, il “padrone” e il “fine” dell’universo. Detronizzato, con molte ragioni, un Dio rappresentato come il Sovrano dei sovrani terreni, ci siamo gradualmente sostituiti a Lui: l’antropocentrismo è diventato (secondo una formula di Jacques Maritain)  antropoteismo. Si tratta di una convinzione così radicata da resistere alle ormai inoppugnabili evidenze scientifiche: per miliardi di anni il cosmo ha fatto a meno dell’homo sapiens demens (come si esprime Edgar Morin) ed è assolutamente certo che lo stesso cosmo sopravviverà a lungo anche dopo la scomparsa dell’umanità dalla faccia del piccolo pianetino confuso fra miliardi di corpi celesti.

Qualora questo errore originario venisse individuato e corretto, potremmo scoprire che – in quanto “figli” e “ospiti” dell’universo – ci tocca (se vogliamo vivere una saggia e serena convivialità)  disarmare la nostra postura dominatrice nei confronti degli animali, dei minori, delle donne e più in generale degli altri esseri umani.

Che cosa questo cambiamento di mente, di cuore e di gesti possa comportare qui ed ora per ciascuno/a di noi potremmo aiutarci a suggerircelo oggi vicendevolmente.

 

Augusto Cavadi

 

 

 

 

1 commento:

Mauro Matteucci ha detto...

Ormai la nostra società è pervasa,se non dominata, dai sentimenti dell'inimicizia e dell'odio: la violenza ne è la conseguenza inevitabile. I frutti avvelenati sono ogni giorno sotto gli occhi di tutti!