lunedì 15 dicembre 2014

MAFIA OGGI. CONVERSAZIONE CON GIACOMO DI GIROLAMO

"Il fatto quotidiano"
23.11.2014

Augusto Cavadi: "I mafiosi non cambiano. Sono sempre inseriti nella società siciliana"

 Scrittore e insegnante, Augusto Cavadi, palermitano, è presidente della scuola di formazione etico - politica “Giovanni Falcone” di Palermo. Tra i suoi ultimi volumi  Il Dio dei mafiosi (San Paolo, 2009) e 101 storie di mafia che non ti hanno mai raccontato (Newton Compton, 2011).

Omertà, riservatezza, sobrietà erano una volta i tratti dei boss di Cosa nostra. Adesso invece il neo capomafia dell’Arenella, Domenico Palazzotto, si fa i “selfie” davanti a piatti di aragoste,  ed è  molto attivo sui social network.  Insomma, l’era narcisistica del “Ciao,  come sto?” sembra aver contagiato anche i  nuovi boss della mafia…
“Noi conosciamo solo i comportamenti che affiorano, perchè finiscono nelle inchieste giudiziarie o nei giornali. Allora si, possiamo dire che alcuni boss delle generazioni più giovani hanno questo tipo di vita, ma io non so se sia fondata una generalizzazione, dal momento che molti tra i membri di Cosa nostra vivono ancora oggi nascosti. I mafiosi sono delle persone comuni, e anche loro risentono delle mode”.
Il fatto è che noi ci immaginiamo un modello di mafioso un po’ sterotipato, quindi vedere questi ragazzi alla moda che girano il mondo e si concedono il lusso più sfrenato senza inibizioni ma un po’ effetto.
Se andiamo indietro negli anni troviamo comportamenti simili, che anche allora destavano uguale scalpore. Penso a Tommaso Buscetta, ad esempio, che da pentito si fece fotografare mentre era in crociera. Il mafioso sobrio in realtà non è mai esistito, i boss si sono goduti la vita come hanno potuto. Magari per Totò Riina godersi la vita era farsi una mangiata di capretto, in campagna, con il vino buono, e oggi per un giovane di mafia godersi la vita significa farsi i selfie per le strade di New York.
La vita dei boss dunque non cambia…
No, cambia la nostra percezione, una volta che l’invadenza dei mezzi di comunicazione entra nel privato di tutti, e quindi anche nel loro. Oggi è difficile separare pubblico e privato, per tutti, dal presidente francese Hollande - lo abbiamo visto -  al giovane boss. Ma, ripeto, dal mio punto di vista, non sono i boss  che hanno cambiato mentalità, siamo noi che siamo capaci di leggere il loro dietro le quinte, perchè siamo tutti noi occidentali ad avere meno vita privata.
Possiamo dire che se oggi il giovane Totò Riina avesse avuto uno smartphone in mano avrebbe fatto la stessa cosa?
Certamente. Riina, ad esempio, accumulava denaro e gioielli E anche questa immagine di Provenzano che mangia pane e cicoria è da rivedere, perchè si dimentica sempre che si sta parlando, comunque, di un boss latitante: se andava a mangiare al ristorante, faccio un esempio, sarebbe stato beccato con facilità. Poi, infatti, Provenzano, quando si è dovuto operare alla prostata, è andato in una delle migliori cliniche in Europa, addirittura in Francia, mica in un posto di fortuna. Ciò significa che ognuno ha le sue priorità, e i suoi criteri. In altre parole, tornando a noi, i giovani mafiosi di oggi sono perfettamente inseriti nella società, non sono anomali.
D’altronde la mafia, per definizione, non è mai “anomala” rispetto alla società.
Esatto. La mafia non vive in conflitto con la società, non è terrorismo, non è delinquenza comune. Cerca di plasmarsi nella società che lo circonda e a sua volta di condizionare gli altri alla sua forza.
Oggi per un ragazzino è facile accendere il computer, e seguire le gesta di un giovane mafioso che si autocelebra tra il lusso e le belle donne. Cambia in questo contesto la pedagogia mafiosa?
Mi occupo di queste cose da più di trenta anni. Prima il ragazzino subiva  il fascino della mafia perchè aveva il caffè pagato  al bar, poteva posteggiare dove voleva, trovava un lavoro. Adesso l’appeal è cambiato ma il tema di fondo è sempre questo: la mafia cerca di adescarti facendoti capire che può migliorare la qualità della tua vita, il tuo agio. Trenta anni fa crescere significava avere una macchina a diciotto anni, adesso il sogno è un telefonino di ultima generazione . Anche da questo punto di vista non è cambiato molto.
In Cattedrale, a Palermo, è stata vietata la cresima al figlio del boss Giuseppe Graviano. Nella stessa chiesa, infatti, è sepolto Don Pino Puglisi, fatto uccidere dal padre. Eppure il ragazzo è alunno dei gesuiti, ha seguito un percorso con gli altri compagni. E’ giusto?
Sopprimono il sintomo per non vedere la causa. La chiesa cattolica non tiene minimamente conto delle situazioni locali, cioè della mentalità mafiosa. E’ facile dire:  siccome tuo padre era mafioso, allora non ti cresimo nella cattedrale.  Ma il discorso sta a monte: questo ragazzo è stato mai stato messo in condizione di capire la differenza tra vangelo e lupara? Ha avuto parole e gesti concreti di distacco dalla mentalità mafiosa? Se sì , va cresimato. Se no, è tutta apparenza. La mia idea è che non sia stato messo in condizione di interrogarsi sulla compatibilità tra vangelo e mafia. E quindi si è scelta, alla fine, la via più clamorosa: non cresimarlo in cattedrale, cresimarlo altrove, per nascondere il problema.

1 commento:

Lorenzo Tommaselli ha detto...

Caro Augusto,
stamane, sfogliando "Il Fatto Quotidiano" del lunedì, ho letto con grande piacere la tua bella e profonda intervista sulle trasformazioni della mafia.
La cultura - ed anche la scuola - italiana hanno bisogno di persone come te, che fondano preparazione e chiarezza espositiva, ma che soprattutto abbiano la schiena diritta! Grazie, un grato abbraccio!
Lorenzo