sabato 29 maggio 2021

DAVVERO BISOGNA SCEGLIERE FRA CRISTIANESIMO DOGMATICO E RIFIUTO DI OGNI METAFISICA ?


 “ADISTA”

8.5.2021

 

IL POST-TEISMO E LA RESILIENZA DELLA METAFISICA

 

 Il dibattito sul post-teismo che, partito da “Adista” soprattutto per merito di Claudia Fanti, rimbalzato su varie pubblicazioni degli editori Massaro, Gabrielli, Il pozzo di Giacobbe, è ritornato sulle pagine di “Adista” con gli interventi recentissimi di Ermanno Arrigoni (“Adista Segni nuovi” n. 10/21) e di Gilberto Squizzato (“Adista Documenti” n. 15/21), sembrerebbe offrire due strade principali soltanto: o accettare il cristianesimo metafisicizzato (l’unico che storicamente si è configurato con l’inculturazione del messaggio originario di Gesù nell’ellenismo di cui erano impregnati Paolo e i successivi agiografi neotestamentari) o provare ad abbracciare un cristianesimo de-metafisicizzato, de-ellenizzato (presumibilmente più vicino alla mentalità e alla predicazione del Gesù storico) abbandonando al suo “declino” irreversibile la ricerca metafisica con “tutta la sua supponente debolezza”. 

Ma è davvero così? Il dilemma davanti al quale ci troviamo è davvero cornuto? Ci sono delle persone - poche, forse pochissime: ma, come avvertiva Galileo Galilei la verità non è misurabile dal numero dei sostenitori di una determinata tesi in un determinato momento storico  -  che stentano a riconoscersi, sic et simpliciter, in una delle due posizioni principali. Persone che condividono istanze opposte presenti nei due schieramenti e, tuttavia, non occupano nessuna posizione intermedia; bensì una “terza” posizione che, lungi dal conciliare le altre due, riesce particolarmente antipatica a entrambe. Provo, dal momento che mi ci riconosco, a tratteggiarla telegraficamente.

 Da famiglia sostanzialmente agnostica e indifferente, negli anni del liceo ho abbracciato un cattolicesimo tomista (Gilson, Maritain, il cardinale Journet, papa Paolo VI) che sembrava rispondere alle esigenze più radicali e integrali del mio animo: un ‘blocco’ o, più elegantemente, un ‘plesso’ di ragione e fede, di filosofia (metafisica) e teologia (biblica) che aveva le risposte migliori a tutte le domande esistenziali. La filosofia chiariva i ‘preamboli’ (esistenza di Dio, immortalità dell’anima) e accompagnava alle soglie del Mistero divino: se per fede se ne accettava l’auto-rivelazione, la teologia sarebbe stata la chiave, ormai collaudata dalla Tradizione e confermata da un Magistero ‘infallibile’, per aprirne le porte. A quel punto, alla filosofia non restava che accucciarsi, pronta ad abbaiare e a mordere nel caso che estranei impertinenti  si avvicinassero troppo al Tempio della Verità. 

    Gli studi di filosofia e di teologia, con mio disappunto (anzi, per dirla con sincerità: con mio sgomento angosciato) , mi hanno gradualmente convinto che questo grande volatile capace, con le due “ali” della ragione e della fede, di portarmi dalla Terra al Cielo – di cui ci parlò nel 1974 a Roma, in una sessione del Convegno internazionale su Tommaso d’Aquino, uno sconosciuto arcivescovo di Cracovia, tale Karol Wojtyla -  era soltanto frutto ingegnoso di un pensiero desiderante. Gesù, come più in generale la Bibbia, non era una fonte attendibile per la mia sete di conoscenza: egli non aveva dato, non aveva voluto dare perché non rientrava nell’orizzonte degli interessi di un ebreo in quanto tale, nessuna risposta alle domande filosofiche sul Principio assoluto del cosmo, sul posto dell’uomo nell’universo, sul senso della storia e così via. Egli aveva, invece, offerto delle intuizioni preziose sul modo di essere nel mondo: sul modo di rapportarsi alla natura e ai viventi. E aveva offerto queste intuizioni non come un maestro saggio, ma come un testimone credibile. Egli, agendo, aveva offerto delle illuminanti indicazione per il mio agire. Non un occhiuto guardiano dell’ortodossia, ma un convincente esploratore dell’ortoprassi; anzi, se il termine non fosse orribile, dell’orto-esistenza. Non il fondatore dell’ennesima religione, ma l’incarnazione di una spiritualità potenzialmente planetaria.

Ciò chiarito – proprio come nel XVII secolo Galileo Galilei aveva chiarito che la Bibbia non era un’autorità scientifica, dal momento che si proponeva di insegnarci non come sia strutturato il cielo astronomico ma come si vada al cielo metaforico –,  che fare degli interrogativi sul ‘senso’ del cosmo, della storia umana, della mia esistenza personale? Che fare dei millenni di ricerche metafisiche, di ipotesi speculative, di argomentazioni teoretiche? Molte compagne e molti compagni di strada hanno, legittimamente, deciso di non occuparsene più. Purtroppo, o per fortuna, appartengo a quella minoranza statistica che non riesce a liberarsi da questo ambito problematico (e non si accontenta di ‘sentirsi’ in armonia interiore con i viventi di ogni specie che pullulano sul pianeta). E allora, laicamente, cerco – con chi cerca laicamente – di ‘ragionare’ sull’Uno e sui Molti, sull’Essere e sul Divenire, sul Teismo e sull’A-teismo, sulla morte (certa) e sulle ipotesi (incerte) riguardanti il nostro destino dopo la morte, sulle possibilità e i limiti della nostra intelligenza, sull’etica e sull’estetica…Tempo perso ? Forse. Ma anche se si rivelasse tale, siamo sicuri – come chiedeva Socrate ai suoi concittadini  - che l’alternativa di “una vita senza ricerca” sarebbe “degna di essere vissuta”? Avendo superato ormai la soglia dei settant’anni non posso esonerarmi dal confessare la gratitudine verso tutti i grandi “testimoni” dell’umanità, da Buddha a Gandhi, da Lao Tze a Martin Luther King, da Gesù di Nazareth a Che Guevara; ma altrettanta gratitudine avverto nei confronti di tutti i grandi “maestri” dell’umanità, da Parmenide a Eraclito, da Platone a Epicuro, da Cartesio a Spinoza, da Schelling a  Gramsci, da Heidegger a  Wittgenstein, da  Jung a Ricoeur, da Frankl a Bobbio, dalla Weil alla Arendt, da Severino a Berti. Da loro ho imparato che solo conoscendo, sviscerando, criticando le teorie metafisiche ho diritto di oltrepassarle e di lasciarmele alle spalle. Se non mi accade di restarne impigliato in qualcuna delle reti. Già: sono ormai più di due secoli, dai tempi di Hume e di Kant,  che della metafisica si decretano la ‘morte’, la ‘distruzione’, il ‘superamento’, la ‘eclisse’, il ‘tramonto definitivo’…Ma due secoli di celebrazioni  funebri non sono un po’ troppi per una defunta, sia pur illustre? E non dà nulla da pensare la constatazione che, intanto, le scuole cui appartengono gli autori dei  necrologi (positivismo, idealismo, marxismo, esistenzialismo…) succedano l’una all’altra – inesorabilmente - sul centro del palcoscenico? In filosofia le statistiche dei consensi valgono quanto l’argomento di autorità: poco più di nulla.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

3 commenti:

Salvatore Fricano ha detto...

Caro Augusto, forse è pertinente, in base a quello che tu comunichi, il riferimento a Gilson, il quale aveva affermato che la metafisica seppelliva sempre i suoi becchini :-)

Bruno Vergani ha detto...

I motivi dell’antipatia che questa terza via può suscitare nei cristiani dogmatici sono noti, mentre appaiono meno comprensibili nei de-metafisicizzatori, de-ellenizzatori. Probabilmente un certo post-teismo nel rifiutare il cristianesimo dottrinale ha abbracciato per reazione un panteismo laicizzato non meno dogmatico, molto ideologico e poco metafisico.

ontologie ha detto...

Caro Augusto, come ti capisco! Scuserai l'ardire ma mi sembrava di leggermi o di stare allo specchio (e forse lo sai bene) e per questo mi stupisco che in tutto il tuo pregevole pezzo, tu sia riuscito a non scrivere mai il termine magico, se non strategico, che di certo conosci più che bene e che riassumerebbe alla grande l’ambito della tua ricerca. Anche il termine “Senso” compare solo due volte, come “Verità”, mentre “Assoluto” solo una volta sola. Che strano …. e certo l’hai fatto apposta.
Sulla tua scia osservo che l’amarezza e l'angoscia si esaltano (in me) ulteriormente quando, pur rilevando l’insufficienza delle religioni e delle metafisiche disponibili e comunque faticosamente costruite, si assiste alla banale sostituzione dei “vecchi” pseudo valori assoluti, con l’assenza tout court di valori, tipica del relativismo e del nichilismo, che pare dilaghino ovunque. In fondo la tragedia non sta nell'assenza di "quelle" risposte, ma nell’agghiacciante snobbare se non disprezzare "quelle" domande. Che tristezza e che degrado. E la chiesa complice, raso-terra e secolarizzata, collabora in tale sciagura... Tempi duri per chi vuole capire .... tutto, ahinoi.