martedì 3 giugno 2025

L’INSPIEGABILE EPIDEMIA DELLA VIOLENZA GRATUITA (SPECIE GIOVANILE)

 La violenza fisica – anche estrema quando omicida – esercitata sempre più spesso da soggetti sempre più giovani per motivi sempre più futili non può non interrogarci.

Dare spazio allo sgomento

Ma prima di esprimere, più o meno prontamente, dei pareri bisognerebbe concedere uno spazio di silenzio al nostro sgomento. Le notizie di efferatezze gratuite che riceviamo, con puntuale monotonia, dai mezzi di trasmissione di massa ci impregnano di tristezza. E non ci è di alcun aiuto anestetizzare il dolore provocato da ciò che sorprende e angoscia soffocandolo sotto una coltre di parole, di spiegazioni. Meglio accoglierlo, lasciarsene incidere l’animo in attesa di una lenta metabolizzazione.

Perché Tizio uccide Caio? E’ un gesto indecifrabile.

Su questo presupposto di “timore e tremore” possiamo tentare di individuare alcuni fattori che, pur senza spiegare l’inspiegabile, hanno reso possibile l’accadimento o addirittura l’hanno favorito.

Procederò per cerchi concentrici a partire dal più piccolo (il singolo autore di reato) e passerò, via via, a cerchi più ampi (la famiglia, il quartiere, la città, l’Occidente, la violenza inter-umana planetaria e la violenza antropocentrica ai danni del resto dei viventi).

Il profilo biografico psico-pedagogico

In qualche caso la violenza fisica viene adottata come linguaggio espressivo abituale perché, nella propria biografia, la si è subita sin dall’infanzia nell’ambiente familiare: la “pedagogia nera” (K. Rutschky, A. Miller, P. Perticari) è trasversale rispetto ai ceti sociali e innesca una “catena” interminabile che trasforma ogni vittima in carnefice di una vittima più debole, ogni “minore” in un “maggiore” rispetto a un nuovo possibile “minore” (P. Patfoort).

Il contesto locale: il quartiere

La storia psico-pedagogica individuale, per quanto rilevante, non va assolutizzata: essa  è inscritta in un contesto locale più ampio. Ad esempio, se mi è capitato di nascere in un quartiere ad alta percentuale di mafiosi, gli eventuali condizionamenti familiari sono per così dire confermati e ampliati da una quotidianità in cui gli inevitabili conflitti interpersonali sono gestiti esclusivamente con la logica prepotere/sottomissione.

Nella “visione-del-mondo” mafiosa la negoziazione, il compromesso, la mediazione sono preferibili all’esercizio della violenza fisica, ma non si hanno remore a ricorrervi tutte le volte che l’accordo  non si realizza.

L’illegalità sistemica urbana

Il caso di questo o quel quartiere infestato dalla mentalità mafiosa è solo un esempio. Infatti le statistiche documentano che la criminalità prospera anche in metropoli come Roma o Milano contrassegnate – non meno di Napoli o Palermo– da un clima di “a-legalità” (A. La Spina): da una trasgressione sistemica delle normative al punto da provocare l’assuefazione generalizzata.

In alcune regioni risulteranno ‘normali’ certe tipologie di illegalità (venditori ambulanti che occupano abusivamente marciapiedi e corsie stradali; automobili parcheggiate in seconda fila o che circolano con contrassegni per passeggeri invalidi ormai defunti;  passi carrabili ostruiti da automobili praticamente inamovibili; ragazzi che sfrecciano in zone chiuse al traffico con monopattini elettrici…); in altre regioni prevarranno altre infrazioni (furti in casa; spaccio di sostanze tossiche; sversamento di rifiuti industriali nei corsi d’acqua; evasione sistemica dei tributi; prestiti a tassi usurai…). Nel Centro-Nord come nel Sud e nelle Isole i cittadini sono quasi del tutto indifesi e si ritengono condannati o  a farsi giustizia da sé (se attrezzati fisicamente e avvezzi all’uso delle armi) o a subire passivamente ogni genere di sopruso.

La mentalità maschilista occidentale

Il sessismo maschilista ha nelle aree Nord-occidentali del pianeta una storia millenaria. Spesso gli autori di violenze fisiche sono maschi. Il nesso fra maschilità e violenza non è casuale (G. Burgio, C. Rinaldi). Una delle molte spiegazioni (che si integrano a vicenda senza escludersi) mette a fuoco l’incertezza dell’identità maschile: una femmina non deve dimostrare di esserlo perché è connotata da vari attributi fisiologici, laddove un maschio deve ricorrere maggiormente a segnali comportamentali e simbolici (ad esempio energia nel comandare, forza fisica nel difendere, intraprendenza economica etc.). Agire da bullo – accettando di entrare in una escalation di violenza – è anche un modo di proclamare pubblicamente di essere un ”vero” uomo.

La postura violenta planetaria

Il maschilismo è una dette tante modalità in cui si declina una postura comune a molte civiltà del pianeta, ben al di là dei confini del mondo Settentrionale-occidentale: la postura violenta. Essa si basa sul falso dilemma o la guerra o l’assenza di conflitti che il paradigma della nonviolenza tende a destrutturare inserendo alternative creative. Infatti il conflitto è strutturale nell’esperienza degli esseri umani (sia a livello inter-individuale che inter-sociale) ed è dunque irrealistico ipotizzare una storia senza conflitti; ma un conflitto non deve necessariamente configurarsi come violento, può essere gestito senza ricorso alle armi mediante metodi appropriati. Tra guerra e assenza di conflitti dunque tertium datur: riconoscere i conflitti, ma provare a gestirli  in maniera nonviolenta.

L’antropocentrismo predatorio

La violenza degli esseri umani fra di noi (soggetti individuali o collettivi) non esaurisce lo scenario globale dal momento che essa emerge all’interno di un orizzonte in cui esercitiamo violenza arbitraria sugli altri animali, sui vegetali, sull’ambiente naturale tutto. Tradizioni culturali molto diverse fra loro (dalla ebraico- cristiana all’islamica, dalla liberal-borghese alla social-comunista…) sono accumunate da un principio originario: l’essere umano è il padrone assoluto del pianeta. Egli può disporre a piacimento di tutti gli altri viventi (più o meno senzienti, dagli animali alle piante) e può usare (e abusare di) ogni risorsa utile: dall’aria all’acqua. L’antropocentrismo planetario è radicalmente predatorio in quanto  proprietario (anche nei regimi in cui la proprietà privata è sostituita dalla proprietà statale) e consumistico.

Noi mortali non ci interpretiamo come “pastori dell’Essere” (M. Heidegger) che devono ‘guardare’ il reale (nella duplice accezione di ‘contemplare’ e ‘custodire’), ma come i suoi signori. Neppure vediamo ciò che, in un determinato momento, non ci serve (T. Merton).

Quest’ottica antropocentrica ci arricchisce ed esalta (come sembrerebbe a prima vista) o piuttosto ci impoverisce? Forse è proprio l’infelicità causata dai fallimenti della nostra “volontà di potenza” che ci rende feroci: non è vero che siamo infelici perché agiamo malvagiamente, ma agiamo malvagiamente perché siamo infelici (S. Kierkegaard,  E. Drewermann). Solo l’esperienza della bellezza, della conoscenza, della solidarietà può sradicare la nostra inclinazione a seminare dolore intorno a noi.

Augusto Cavadi

(www.augustocavadi.com)

Per la versione originaria cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/come-arginare-lallarmante-moltiplicarsi-della-violenza-giovanile/

 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie Augusto, tutte riflessioni da me condivise.