Anche quest'anno l'agenzia di stampa "Adista" mi ha chiesto di commentare (per la rubrica "Fuori tempio") i vangeli delle quattro domeniche di avvento. Qui di seguito il commento al vangelo della I domenica (30 novembre 2025).
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.
Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano,
prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò
nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse
tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo» (Mt 24, 37-44).
Negli anni della iniziazione alla pratica
liturgica cattolica (grazie a un frate agostiniano che accompagnava un gruppo
scout della mia città e nonostante i ripetuti tentativi di dissuasione da parte
dei miei familiari) era agevole prendere posizione davanti a brani come questo:
ritenevi vero che Noè fosse vissuto tre o quattro millenni fa e che Gesù lo avesse evocato per esemplificare il
suo stesso secondo – e definitivo – avvento? Allora eri un credente. Dubitavi
fortemente della attendibilità storica di tutto ciò? Allora ti potevi
serenamente considerare non-credente, un infedele.
Sessant’anni dopo non è più così. L’alternativa
non è così secca, drastica. Chi ha studiato anche solo un po’ di teologia, ma
seria, sa con ragionevole certezza che Noè non è un personaggio storico; che un diluvio
“universale” non c’è mai stato; che Gesù non ha mai pronunziato questa
‘profezia’; che i redattori del vangelo gliel’hanno posto sulle labbra circa
mezzo secolo dopo per esortare le loro comunità a non cedere
all’imborghesimento per scoraggiamento…
E allora, che fare? Continuare a credere di
credere, facendo finta di niente, rinunziando al sapere storico-esegetico o
addirittura irridendolo (come perfino Benedetto XVI ha fatto nei suoi volumi su
Gesù, per fortuna precisando di scrivere da teologo privato e non da pontefice)
? Oppure, al contrario, cessare di dirsi cristiani, gettare pagine come questa alle
ortiche o, al massimo, affidarle ai cultori di letteratura greca antica?
Forse sono percorribili anche altre vie,
non del tutto dissimili da chi ama i versi dell’Odissea o della Divina
Commedia prescindendo dall’effettiva esistenza storica di Ulisse o della
collina del Purgatorio. Per chi vede in Gesù (come in Socrate o in Buddha) un
segno, un sintomo, un ologramma di una dimensione altra rispetto alla pur
concretissima tragica storicità; per chi riconosce nel suo messaggio sia un invito
a vivere per ciò che conta e nutre la propria interiorità sia un progetto
utopico di società verso cui orientare gli ingiusti assetti sociali attuali;
per costui/costei questa pagina matteana risuona come un monito a non sprecare
il breve segmento di vita concessoci.
Francamente non so se ci sarà un ritorno di Gesù tra noi e propendo a non crederlo verosimile; ma so con certezza che la morte mi attende e può afferrarmi, come un ladro nella notte, quando meno me l’aspetto. Non sarà la fine del mondo, ma certo del mio mondo. Poi? O il nulla o la fusione con l’Infinito. O (solo) la decomposizione della mia dimensione corporea o (anche) l’immersione verso l’abissale Profondità di quella sfera dell’essere di cui, in questa vita, sperimentiamo soltanto la superficie agitata da travagli e stoltezze. Sarebbe bello se, in questa seconda ipotesi, potessi riconoscere – tra milioni di volti che hanno calcato le strade del mondo indicandoci l’Oltre – anche il volto del Nazareno, “Figlio dell’uomo”: non egli sarebbe tornato a me sulla Terra, ma io sarei andato a incontrare lui nel Mistero. Dopo il mio primo ‘avvento’ nella storia, si realizzerebbe il mio secondo ‘avvento’ nella meta-storia. In ogni caso, l’incontro tra noi due sarebbe realmente effettuato. Di questa speranza a me parla ancora la pericope odierna. Forse dice meno di quanto mi dicesse negli anni Sessanta del Novecento, ma di certo me lo dice con un tono meno inverosimile e perciò più convincente.
“Adista /Notizie”, 38, 1-11-2025
2 commenti:
Grazie Augusto, molto interessante.Lèggerò anche i prossimi.Silvana
Caro Augusto, l'incontro che narri (e auspichi) mi è sembrato l'abbozzo di un racconto, o di una novella, della buona novella che darebbe senso alla vita, e soprattutto alla morte. Questa sarebbe davvero quella "salvezza" mille volte ascoltata nelle prediche e che mai ho compreso di cosa si tratti, perché nella vita, in questa unica e irripetibile esistenza, nessuno si salva dai tanti volti del dolore: di almeno uno di questi (e non ci è dato scegliere, à la carte, quale) a tutti tocca farne esperienza. Ma se "quella" fosse la "salvezza"... allora saremmo salvi già adesso. Ti abbraccio.
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