mercoledì 23 luglio 2014

Antonio Cangemi recensisce "La rivoluzione, ma a partire da sè" (Ipoc, Milano 2014)

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19.7.2014

La “vigilanza intellettuale” di Augusto Cavadi


La “vigilanza intellettuale” di Augusto Cavadi
La tendenza a rifugiarsi nel privato estraniandosi da ogni coinvolgimento nella vita pubblica è oggi assai diffusa, non solo nelle nuove generazioni. E’ una scelta che i tanti che la compiono solitamente giustificano accusando la politica di sporcizia, il mondo sindacale di mistificazione, le associazioni di guardare ai propri tornaconti. Argomenti in verità troppo vaghi per non fare sospettare che dietro quella scelta vi sia, oltre a comprensibile disorientamento dinanzi a realtà inquinate e contraddittorie, pigrizia e carenza di riflessione sul senso dell’esistenza, soprattutto della propria.
Augusto Cavadi, saggista dai molteplici interessi e consulente filosofico, nel suo ultimo libro “La rivoluzione, ma a partire da sé” edito da Ipoc ci invita a meditare sulla propria vita e a considerare come la si possa arricchire con l’impegno civile, sociale e politico. Cavadi, a sostegno del proprio punto di vista, sviluppa, articolandole con sapienti e puntuali richiami, svariate argomentazioni, sorrette dalla logica coniugata alla passione che, lungi dal ridimensionarne la cifra razionale, le rafforza. L’autore de “Il Dio dei mafiosi”(pamphlet di successo che ha fatto luce sulla religiosità sinistra di Cosa nostra), pur nell’accorato appello all’impegno, non si erge mai a depositario della verità e a distillatore ex cathedra di ricette salvifiche.
Lo scrittore palermitano ci spiega che la vita di ciascuno di noi ruota attorno a un progetto, cioè ad una selezione di priorità di valori e comportamenti a guida dell’operato quotidiano. Molti, nel momento in cui orientano la propria esistenza senza interrogarsi sul suo significato e sul significato dell’agire con gli altri e per gli altri rinchiudendosi in se stessi e privilegiando il disimpegno, detengono comunque un progetto inconsapevole, che gli ritaglia un ruolo di spettatori passivi degli accadimenti pubblici. E’ preferibile, secondo Cavadi, elaborare consapevolmente un proprio progetto esistenziale, e che questo progetto sia ancorato al mondo reale, fondato sulla fiducia negli uomini – che, per quanto contraddittori e non affrancati da impulsi egoistici, rivelano spesso vitalità positive -, rinsaldato dalla forza dell’amore. Se si riesce a predisporre un progetto esistenziale orientato in tal senso è possibile praticare la via dell’impegno in varie direzioni, richiedendosi sforzi anche non trascendentali. Una di queste è la “vigilanza intellettuale”, e cioè la consapevolezza di far parte del contesto pubblico in cui si vive, che si sostanzia nel seguire, attraverso un’attenta informazione, letture selezionate, studi non superficiali, il corso degli eventi per averne una visione autonoma e critica.
La “vigilanza intellettuale” costituisce la premessa per raggiungere ulteriori livelli di partecipazione alla vita pubblica. Che consentono, con la “fruizione della bellezza”, di discernere la volgarità da ciò che è esteticamente apprezzabile e di adoperarsi perché il bello non sia offuscato dalla piattezza o da omologazioni consumistiche, e di acquisire la “ ‘cultura’ della sobrietà e del rispetto ecologico” e la ricchezza del dialogo, fondamentali per un ambiente migliore e una convivenza civile più solida. Cavadi osserva inoltre come l’impegno abbia una sua imprescindibile dimensione sociale. Se si ha cuore di operare dei cambiamenti lo sforzo individuale non basta, occorre incontrarsi con gli altri che sono mossi dallo stesso intento. Associandosi si possono perseguire obiettivi ambiziosi. E il condividere le proprie esperienze in associazioni ha più vantaggi: fa conoscere i lati positivi, altrimenti più difficili da scorgere, degli altri e fa scoprire le ricchezze che si celano dentro noi stessi. Secondo Cavadi, tuttavia, la dimensione sociale dell’impegno, per quanto preziosa, non è sufficiente per incidere in modo significativo sulla realtà. Se ci si arresta a tale stadio si rischia di limitare la propria azione in ambiti parziali e settoriali.
Occorre perciò una progettualità, una visione d’insieme che solo la politica può offrire. La politica cui si riferisce Cavadi naturalmente è quella immune da interessi particolari o da tornaconti individuali: è una politica di servizio alla collettività, che supera gli steccati ideologici, oggi anacronistici, ma che esige una scelta di parte a beneficio di chi ha più bisogno e nel segno della solidarietà umana. Il saggio di Cavadi seppure breve (appena 105 pagine) è assai pregnante. Lo arricchiscono molte colte e suggestive citazioni e, nel finale, illuminanti consigli di lettura. La sottigliezza dei ragionamenti sprona a praticare uno stile di vita dedito al bene comune e aperto all’ascolto e al soccorso del prossimo, soprattutto di chi è più debole. La sapienza del filosofo è accompagnata dalla chiarezza espositiva del giornalista, e ciò rende la lettura del saggio oltre che edificante gradevole.

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