venerdì 4 luglio 2014

FILIPPO BASILE, L'EROE BORGHESE ASSASSINATO 15 ANNI FA


“Repubblica – Palermo”
4.7.2014

FILIPPO BASILE L’EROE NORMALE CHE RUPPE L’INGRANAGGIO DELL’OMERTA’


           L’ipercitata espressione brechtiana – “Maledetta la terra che ha bisogno di eroi” – nel Meridione italiano andrebbe riformulata. La nostra terra, infatti, mette spesso i cittadini ‘normali’ davanti a un bivio: o diventare eroi, malgrado se stessi, o diventare vigliacchi. Il medico legale come Giaccone, il giornalista come Fava, l’imprenditore come Grassi, il magistrato come Costa, il parroco di periferia come Puglisi…non decidono a tavolino di diventare martiri dell’antimafia: ma quando gli si chiede di firmare una diagnosi falsa o di pagare il pizzo possono optare fra la ribellione o l’obbedienza. Determinante è la storia e il contesto sociale in cui devono operare la scelta: se la maggior parte dei commercianti non paga il pizzo o la maggior parte dei preti si rifiuta di celebrare funerali solenni per defunti in odore di mafia, il commerciante o il prete rischiano poco. Ma se la regola statistica è altra, il loro dissenso diventa scandaloso: vanno subito puniti per evitare che il loro esempio diventi contagioso e la mafia perda il consenso sociale (senza il quale non è più mafia ma scade a delinquenza comune).
   Per Filippo Basile – funzionario dell’Assessorato all’Agricoltura e Foreste, con il compito di  coordinatore dell’Organizzazione amministrativa e funzionale -  firmare il licenziamento di un dipendente( Nino Velio Sprio), condannato per vari reati all’interdizione dai pubblici uffici, si configurava come un atto dovuto, un gesto di routine. Ma nel momento in cui la pratica del licenziamento si impantana per mesi nei labirinti burocratici e nei cavilli giurisprudenziali, per poi addirittura bloccarsi per più di due mesi sul tavolo dell’assessore competente (Salvatore Cuffaro), concittadino del dipendente condannato che si vantava per giunta di averlo come “figlioccio”, il funzionario che ha imbastito la pratica cessa di essere una rotella dell’ingranaggio: diventa un caso, un’anomalia. Un bersaglio potenziale eliminando il quale si ritornerebbe alla perversa ‘normalità’ delle omertà, delle collusioni, delle complicità attive o passive.
     Così il dipendente da licenziare assolda un sicario per far fuori il trentottenne Basile: e, come si evincerà fa processi successivi, aggiunge un ulteriore assassinio al suo portfolio. La giustizia dei tribunali può raggiungere mandante ed esecutore materiale (Ignazio Giliberti) del delitto: ma solo la giustizia degli storici, della memoria civica, del senso etico può condannare quanti  - con l’atavica, perdurante sottomissione ai diktat mafiosi – sono oggettivamente complici dell’omicidio. Il convegno, organizzato per domani (sala gialla di Palazzo dei Normanni, ore 10) dal Servizio Formazione del Dipartimento regionale per la Funzione pubblica e del Personale, nel 15.mo anniversario della morte -   porterà dunque i frutti sperati solo se si andrà al di là del pur doveroso ossequio a un ennesimo martire della violenza mafiosa; solo se si capirà che a uccidere i siciliani giusti non sono soltanto singole menti criminali, ma un intero sistema di illegalità strutturale (effetto, e a sua volta causa, di una mentalità feudale per cui i rapporti  individuali fra un potente e i suoi homines prevalgono nettamente sulla comune subordinazione al diritto). Comunemente riteniamo che dare spazio agli adulatori, ai piccoli ruffiani, agli arrampicatori servili sia una concessione inevitabile alla tradizione o, al più, un “peccato veniale” perdonabile: è venuto il momento di capire che questo intreccio di tolleranza e di complicità finisce con lo stritolare le persone migliori. 

Augusto Cavadi

2 commenti:

Maria D'Asaro ha detto...

Questo scritto è così limpido, così acuto, così necessario che lo copio e lo rilancio nel mio blog. Grazie.
Maria D'Asaro

Unknown ha detto...

Complimenti. Apprezzo le parole e condivido pienamente i pensieri.
Fabrizio Basile