martedì 16 maggio 2017

LUDOVICA EUGENIO SULLA RINUNZIA DI G. SALONIA ALL'EPISCOPATO




"ADISTA" ( n° 18 del 13-05-2017)
 
«Confratelli dell’Arcidiocesi di Palermo, vi scrivo per comunicarvi che consegno nelle mani del Santo Padre la rinunzia alla mia consacrazione come vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi». Si conclude così, con la rinuncia all’incarico, lo strano caso del vescovo ausiliare di Palermo p. Giovanni Salonia, nominato ufficialmente con bolla pontificia a coadiuvare l’arcivescovo mons. Corrado Lorefice lo scorso 10 febbraio, ma bloccato dalla richiesta, dal parte del nunzio apostolico mons. Adriano Bernardini, di un «supplemento d’indagine» prima che avvenisse la consacrazione episcopale. Consacrazione che, ovviamente, a questo punto non avrà luogo (v. Adista Notizie n. 16/17): a qualcuno, evidentemente, il brillante religioso cappuccino, psicologo e psicoterapeuta ragusano - responsabile della formazione permanente per la Provincia Cappuccina di Siracusa, da anni condirettore della Scuola postuniversitaria di specializzazione in psicoterapia della Gestalt Human Center Communication Italy - scelto da papa Francesco non andava giù. «I “veleni” che attraversano la Chiesa palermitana hanno prevalso», ha scritto Francesco Antonio Grana del sito Il Faro di Roma, che ha seguito da vicino la vicenda. E lo stesso papa Francesco, alla fine, ha chiesto al religioso di dimettersi.
«Avevo accettato - scrive Salonia a Lorefice in una lettera da Modica, il 18 aprile, pubblicata sul portale online - in spirito di servizio ecclesiale questo impegnativo e delicato ufficio, a cui, in modo imprevisto e inaspettato, ero stato chiamato. Tale nomina, mentre in tanti aveva suscitato sentimenti di gioia e di speranza, in qualcun altro ha provocato intensi sentimenti negativi con attacchi nei miei confronti infondati, calunniosi e inconsistenti, ma che potrebbero diventare oggetto di diverse forme di strumentalizzazione, anche di tipo mediatico. Iniziare un servizio ecclesiale in un tale clima mi avrebbe sottratto energie e serenità nel portare avanti il ministero a cui ero chiamato e, ancor più, avrebbe turbato la serenità e la gioia della comunità ecclesiale». Il riferimento, sostiene Grana, sarebbe a accuse di violazione del celibato. «Non voglio in alcun modo che l’esercizio del mio ministero possa essere inquinato. Rassicuro coloro che potrebbero restare delusi della mia rinuncia: conservo viva e intatta la disponibilità a collaborare sempre, per quel che può essere utile, alla ‘edificazione del Corpo di Cristo’ (Ef 4,12) che è la Chiesa», scrive Salonia, motivando la rinuncia con «con la dignità interiore di chi mette in secondo piano i propri diritti pur di servire la Chiesa e con lo stesso amore ecclesiale con cui avevo accettato la nomina» e ringraziando Lorefice «per la stima e l’affetto dimostratimi»: «Sarebbe stato proficuo lavorare insieme per il bene della Chiesa e di tante anime bisognose di supporto spirituale e umano». 
La vicenda di p. Salonia sembra essere stata manovrata dall’alto. Una lettera giunta in Vaticano da «ambienti cappuccini», si legge sulle pagine palermitane di Repubblica il 27 aprile, avrebbe etichettato il religioso come «uomo indegno» per i trascorsi di «infedeltà al celibato», ma ci sarebbe chi dice che è una bugia e chi invece sostiene non essere, questa, la prima volta che tali illazioni vengono pronunciate. Il motivo di tutto pare un disagio crescente del clero palermitano che non tollera più nomine “dall’alto” e soprattutto di persone “non indigene”.
Vittima di storture sistemiche
Ma p. Salonia era molto stimato negli ambienti più illuminati della Chiesa siciliana. «Ero rimasto positivamente sorpreso nell’apprendere che un cappuccino-psicoterapeuta, estroverso e loquace, col quale avevo avuto modo di collaborare in ambito editoriale (e qualche volta di polemizzare su questioni ecclesiali), fosse stato nominato vescovo ausiliare di Palermo», ha scritto ad Adista il filosofo palermitano Augusto Cavadi. «“Ma allora papa Francesco sta facendo davvero!” ho commentato con le amiche che ammirano moltissimo padre Giovanni Salonia come prete e come autore di psicologia. Direttamente proporzionale alla soddisfazione di quelle ore è la delusione nell’apprendere che il papa in persona ha dovuto fare un passo indietro e chiedere all’interessato di rinunziare all’incarico per evitare che maldicenze, scritte e sussurrate, inquinassero il clima della chiesa cattolica a Palermo». Ma, rileva Cavadi, bisogna risalire «dal sintomo alla causa» di episodi come questo: Salonia, infatti, è stato «la vittima di turno di due perversioni sistemiche. La prima (definita già nell’Ottocento da Antonio Rosmini una delle “cinque piaghe della Chiesa”) è il sistema di cooptazione dall’alto dei vescovi che, dopo il primo millennio, ha sostituito il tradizionale sistema elettivo dal basso. Sino a quando i vescovi saranno paracadutati sulla testa di preti e fedeli da aerei che decollano a Roma, ci sarà sempre la possibilità - come in questo caso – che delle frange minoritarie (o maggioritarie) ricorrano a ogni mezzo più o meno limpidamente evangelico per protestare contro l’inserimento di un corpo ritenuto “estraneo”». Questa stortura sistemica, argomenta Cavadi, è resa più facile da un’altra: «l’esaltazione dell’astinenza affettivo-sessuale sino al punto da rendere il celibato (da vivere castamente) come una condizione irrinunciabile per l’esercizio del ministero presbiterale. Anche da questo punto di vista, per il primo millennio, il criterio (indicato dallo stesso apostolo Paolo nella Bibbia) era esattamente l’opposto: “Ogni presbitero sia irreprensibile, sia marito di una sola moglie, abbia figli credenti che non siano accusati di vita dissoluta né siano insubordinati”, Lettera a Tito, 1, 5-6). “Irreprensibile” non perché, sin da ragazzo e sino ai settant’anni, si è negato l’esperienza dell’intesa sessuale, della tenerezza affettiva con un partner, mantenendosi freddamente immune da ogni carezza data o ricevuta: bensì, continua san Paolo nei versetti successivi (7 – 8), “il vescovo, in quanto amministratore di Dio, sia al di sopra di ogni rimprovero, non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di vile guadagno; al contrario, sia ospitale, amante del bene, saggio, giusto, pio, padrone di sé, attaccato alla parola sicura secondo l’annunzio trasmesso, per essere capace sia di esortare nella sana dottrina, sia di confutare quelli che vi si oppongono”. In sintesi: in una Chiesa che rivedesse la propria cultura sessuofobica, i detrattori dei cappuccini psicoterapeuti affettivamente espansivi avrebbero poche frecce nel proprio arco. E molte ragioni, al contrario, per un esame di coscienza: per chiedersi se essi stessi rispondono all’identikit del pastore secondo san Paolo».
Anche per Rosario Giuè, prete e teologo, predecessore di p. Pino Puglisi alla guida della parrocchia di San Gaetano a Brancaccio, la rinuncia di p. Salonia «non è una buona notizia per chi spera ancora nella possibilità di una riforma della Chiesa cattolica che papa Francesco sta faticosamente portando avanti»: per lui, il fallimento della nomina del religioso psicologo è ascrivibile ad una frangia antibergogliana, conservatrice e clericale del cattolicesimo. Se, infatti, da una parte la nomina di Salonia era stata letta da molti «come un “segno dei tempi”, dell’urgenza di rinnovamento umano e pastorale di una “Chiesa in uscita”, lontano dalle vecchie logiche clericali», scrive Giuè sulle pagine palermitane di "Repubblica", se era il «segno di un’attenzione alle “periferie esistenziali”, del voler uscire dal torpore delle sacrestie» e dalla logica del «salvare il mondo clericale con le sue attese e i suoi privilegi», c’è, dall’altra parte, «chi usa tutti i mezzi leciti, a volte illeciti, per frenare l’azione riformatrice del papa (e di chi localmente ne segue le indicazioni), per tentare di bloccarne il processo riformatore, inclusivo e liberante» che passa, forzatamente, anche attraverso le nomine episcopali. Per questo, scrive ancora Giuè, «una parte del cattolicesimo, ma anche del mondo politico e della finanza, rifiuta il cambiamento e lo ostacola apertamente, costi quel che costi. Anche usando la vecchia arma, come nel caso di Salonia, delle lettere di delegittimazione».
«Non sono amico di Salonia», afferma il prete e teologo palermitano, ma gli attacchi contro di lui arrivati sul tavolo del papa «hanno avuto l’effetto di suscitare in me un moto di tenerezza per questo prete che, a 69 anni, si vede costretto a scrivere una lettera di rinuncia alla consacrazione per il ministero episcopale». «Si badi bene – invita – le accuse contro di lui non sono per pedofilia, non sono per arricchimento indebito, per legami con la mafia. Sono accuse per mondanità. Ora va detto che sono solo l’ultimo segno di una Chiesa malata, di una Chiesa vecchia che stenta a morire. Di una Chiesa che, mentre rantola, cerca di assestare i suoi ultimi colpi». Ed esprime una speranza: che Francesco, «passato qualche tempo di decanta mento, possa decidere di confermare la scelta che aveva fatto a febbraio e autorizzare la consacrazione di padre Salonia come vescovo ausiliare di Palermo».

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