giovedì 2 luglio 2020

CI VEDIAMO A BAGHERIA, VENERDI' 3 LUGLIO 2020, PER (S)PARLARE DI ANDREA CAMILLERI ?


ANDREA CAMILLERI E’ FINITO IN UNA ‘BOLLA’ ?

 

Dopo l’unificazione d’Italia (1861) vari autori individuano nella Chiesa cattolica l’agenzia culturale più responsabile del degrado morale delle regioni meridionali. A suffragio della tesi viene addotta la consuetudine, che perdura per quattro secoli dal Quattrocento al 1915, delle “Bolle di crociata” o di “componenda” a cui Andrea Camilleri dedica nel 1993 un pamphlet - intitolato, appunto, La bolla di componenda (Sellerio, Palermo) – che verrà più volte ristampata negli anni. Di che si trattava? Ogni anno il papa elencava una serie di dispense di carattere religioso che i fedeli potevano acquistare secondo un preciso tariffario: per esempio l’esenzione dall’obbligo del digiuno quaresimale o, per chi avesse commesso un furto,  la possibilità di trattenere per sé una parte della refurtiva (a patto che il resto fosse restituito al proprietario o, in caso di impossibilità, utilizzato a favore della collettività). 

Sulla scia degli autori ottocenteschi Camilleri si scaglia contro questa istituzione stigmatizzandola come con-causa della religiosità idolatrica dei meridionali e della mentalità mafiosa. 

Don Francesco Michele Stabile, uno degli storici maggiormente esperto sulla tematica, interviene con un denso volume (Chiesa madre, ma cattiva maestra? Sulla ‘bolla’ di Andrea Camilleri, Di Girolamo, Trapani 2020, pp. 232, euro 15,00) per denunziare quella che ritiene, nonostante “le legittime intenzioni di Camilleri di trovare le ‘cagioni’ dei mali siciliani, e non solo siciliani, un’ambigua operazione di mistificazione della verità”. Infatti, almeno in questo caso,  nell’animo di Camilleri il letterato prende il sopravvento sul ricercatore scientifico e inanella una serie di falsità oggettive: che nessuno ha mai visto una bolla di componenda cartacea a causa dell’occhiuta omertà ecclesiastica; che ogni bolla assolveva da reati futuri come fosse un’agenzia assicurativa che rilasciava polizze contro i fulmini divini; che gli introiti della vendita dei privilegi finissero nelle casse della Chiesa. Don Stabile – che in tutta la sua lunga produzione storiografica ha evidenziato costantemente le responsabilità della gerarchia cattolica per il ritardo con cui ha preso coscienza della “gravità dei mali sociali dell’isola e del pericolo mafioso” – da storico, questa volta, contesta punto per punto le tesi di Camilleri. Introvabile una sola copia della ‘bolla’? No, ce ne sono diverse e Stabile ne pubblica in appendice una del 1847 proclamata da papa Gregorio XVI (pp. 194 – 202). Le bolle assolvevano preventivamente dai reati futuri? Falso. Come si legge in una di esse, la “composizione” era possibile solo nel caso in cui  il colpevole di furto non conoscesse “il Padrone a cui legittimamente possa restituirsi” la refurtiva e “colla condizione, che non abbia fatto questi guadagni colla fiducia di quietare il rimorso della sua coscienza con questa Bolla di composizione perché in tal caso deve restituire interamente alla S. Crociata in sussidio delle spese contro gl’infedeli”. Il ricavo della vendita degli indulti andava alla Chiesa? Falso anche questo: Camilleri “non accenna che i soldi della Bolla erano appannaggio dello Stato e non dei preti”. 

  Insomma don Stabile avrebbe desiderato che l’illustre conterraneo – purtroppo scomparso prima che la monografia storica venisse stampata – avesse presentato “la fonte in questione, cioè la Bolla, nella sua verità con i suoi limiti e rischi, ma senza pregiudizi, tenendo conto del contesto storico e culturale in cui nacque. Una lettura non fuorviante, anche se non gradita. Può anche non piacere questo vecchio connubio tra Chiesa e Stato, e neanch’io ne sono entusiasta, ma faccio lo storico e devo teneree conto sia del testo che del contesto”. “Camilleri fa il romanziere e non lo storico” – conclude don Stabile – “per cui può spacciare come verosimile un suo intrigante giallo su una Bolla misteriosamente scomparsa”. Egli stesso lo confida verso la fine del saggio: “Mi sono abbandonato alla fantasia, all’invenzione, e forse è un atteggiamento disdicevole in un contesto tanto serio”. 

 

Augusto Cavadi

WWW.AUGUSTOCAVADI.COM

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