mercoledì 15 luglio 2020

...E QUI LA CORTESE RISPOSTA DI EUGEN DREWERMANN



Qui di seguito la traduzione (di cui sono debitore a Rossella Sorce in Moeller):
Egregio Signor Cavadi,
La ringrazio di cuore per il Suo impegno.
Per quanto riguarda le domande:
1)     La religione risolve un problema, che non trova risposta nelle scienze della natura = tutte le spiegazioni causali non danno risposta alla messa in discussione dell’esistere (Dasein) a partire dalla contingenza. Noi siamo, non siamo però necessariamente. Una necessità causale non può dare spiegazione al nostro esistere, bensì solo una necessità libera. Noi dobbiamo esistere semplicemente per una Persona che desidera che noi esistiamo. Questa Persona è a sua volta non contingente, ma assoluta. Dio non ha bisogno di noi, però noi viviamo grazie a lui.
2)     La “razionalità” dell’universo è cieca e muta di fronte l’enorme quantità di sofferenza che è propria dell’ambivalenza di tutto il creato. Secondo il principio di conservazione di energia noi non siamo altro che elementi transitori. L’universo non ha bisogno di noi e non sente la nostra mancanza. L’etica si contraddistingue per l’attenzione al valore del singolo esistente. Per la natura noi non siamo né significativi né voluti - essa gioca con noi.
3)     Solo quando la paura del nulla a fondamento dell’esistere si placa nella fiducia in Dio, fondamento che (tutto) regge, termina la lotta per conquistare il diritto di  esistere - mediante la concorrenza tra chi produce di più -  e (ottenere) l’autostima. Solo allora termina la lotta di tutti contro tutti e noi diventiamo capaci di libertà, autonomia e bontà.
4)     Le religioni antiche consideravano divine le manifestazioni della natura perché vi riconoscevano simboli: il sole per esempio, con tramonto e alba, costituiva per loro una risposta alla domanda su morte e resurrezione, così come l’andare e venire della luna, il salire e scendere del Nilo ecc. Con panteismo (o esoterismo) o materialismo ciò non ha niente a che vedere.
Spero che vada bene così.
Con gratitudine per il Suo interesse religioso,  i migliori auguri per una bella estate sull’Elba.
Cordialmente
Eugen Drewermann
Molti cari saluti anche a Rosella Moeller

Paderborn 14.7.2020

4 commenti:

ontologie ha detto...

Molto pittoresco! Ma il Senso??

Bruno Vergani ha detto...

Molto bello e commovente (muove) questo vostro corrispondere. Per come la vedo, dato che tutti noi non siamo cose ma siamo qualcuno, quella “necessità libera” che Drewermann ricorda non è un ossimoro, ma il Mistero del nostro esistere in quanto persone. Riguardo all’ambivalenza dello scenario della creazione, nel quale constatiamo sia una natura (realtà delle contingenze) che se ne impipa di tutto, noi inclusi, e nel contempo una Persona assoluta operante, che fa a sua immagine persone (soggetti) particolari che sentono, vogliono e amano, permane, per me, uno scostamento che non ho ancora risolto. Unica consolazione è che sono in buona compagnia nel tentare di mettere insieme le due cose.

Per semplificare la lettura e agevolare la comprensione riporto le domande di Augusto seguite dalle risposte di Drewermann, sperando di fare cosa gradita ai lettori.

Cavadi. Una prima questione: alla religione/fede , di cui abbiamo ‘disperato’ bisogno, corrisponde un Dio ‘oggettivo’, assoluto, noumenico che sussiste ‘prima’, ‘senza’ e ‘oltre’ noi?

Drewermann. La religione risolve un problema, che non trova risposta nelle scienze della natura = tutte le spiegazioni causali non danno risposta alla messa in discussione dell’esistere (Dasein) a partire dalla contingenza. Noi siamo, non siamo però necessariamente. Una necessità causale non può dare spiegazione al nostro esistere, bensì solo una necessità libera. Noi dobbiamo esistere semplicemente per una Persona che desidera che noi esistiamo. Questa Persona è a sua volta non contingente, ma assoluta. Dio non ha bisogno di noi, però noi viviamo grazie a lui.

Cavadi. Una seconda domanda: indubbiamente, la religione è un conforto per il singolo e una riserva etica per i popoli. Ma davvero bisogna scegliere (aut-aut) fra Dio o il nulla? Davvero tertium non datur ? Pensatori come Karl Loewith sostengono che sia possibile essere atei e avere fiducia nella razionalità dell’universo.

Drewermann. La “razionalità” dell’universo è cieca e muta di fronte l’enorme quantità di sofferenza che è propria dell’ambivalenza di tutto il creato. Secondo il principio di conservazione di energia noi non siamo altro che elementi transitori. L’universo non ha bisogno di noi e non sente la nostra mancanza. L’etica si contraddistingue per l’attenzione al valore del singolo esistente. Per la natura noi non siamo né significativi né voluti - essa gioca con noi.

Cavadi. Una terza questione: la tesi di Drewermann, per cui la religione serve all’uomo come cura del “disorientamento ontologico”, non si espone al capovolgimento esatto dei pensatori atei (i quali affermano che nessuna religione va accettata perché sarebbe troppo comoda) ?

Drewermann. Solo quando la paura del nulla a fondamento dell’esistere si placa nella fiducia in Dio, fondamento che (tutto) regge, termina la lotta per conquistare il diritto di esistere - mediante la concorrenza tra chi produce di più - e (ottenere) l’autostima. Solo allora termina la lotta di tutti contro tutti e noi diventiamo capaci di libertà, autonomia e bontà.

Cavadi. Una quarta questione: lei afferma più volte che il cosmo, come lo conosciamo alla luce delle scienze naturali contemporanee, è fitto di troppe contraddizioni dolorose e, perciò, non può costituire una base solida per risalire a un Creatore potente e benevolo. Come si concilia questa tesi con l’esaltazione delle religioni naturalistiche che, come l’egiziana, proclamano la divinità del sole, delle stelle, di tanti animali? Insomma: sono solo l’intuizione poetica e il pensiero simbolico che possono consentirci di identificare il cosmo caotico e assurdo come il corpo di Dio?

Drewermann. Le religioni antiche consideravano divine le manifestazioni della natura perché vi riconoscevano simboli: il sole per esempio, con tramonto e alba, costituiva per loro una risposta alla domanda su morte e resurrezione, così come l’andare e venire della luna, il salire e scendere del Nilo ecc. Con panteismo (o esoterismo) o materialismo ciò non ha niente a che vedere.

Mauro Avi ha detto...

Buonasera, caro Augusto. Sono Mauro Avi di Trento. Mi permetto di intervenire nella discussione sul pensiero di Drewermann.

Un pensiero che ho elaborato in un momento in cui avrei potuto morire...Accorgermi di essere vivo, e accorgermi che se fossi morto nulla aveva importanza, e il mondo sarebbe andato avanti benissimo senza di me... Sembra un pensiero banale, ma io quella volta non l'ho pensato, l'ho sentito! E sono arrivato alla conclusione successiva, sempre più sentita che pensata: Questo corpo ( E uso la parola corpo per indicare la mia persona nell'insieme, nella sua totalità!) che un giorno sarà morto (che potrebbe già essere morto e disfatto se non mi fossi ripreso quella volta) oggi è VIVO!
Ha cambiato la mia angolazione di vedere la vita, di dare il valore ad ogni istante, ad ogni respiro. E che mi ha dato una grande libertà. Di cui godo tuttora. Un caro saluto da uno che sa di essere, di essere nulla, ma che sa che questo istante che sta vivendo è unico nel tempo e nello spazio. Mauro

Caudio Giambelli ha detto...

Caro Augusto, grazie di averci segnalato questo scambio con Drewermann, per i suoi 80 anni.
Ancora una volta, Drewermann ha dimostrato la sua disponibilità e attenzione empatica alle domande esistenziali.

Sinceramente, io non avrei saputo che chiedergli.

Però, approfitto di una tua domanda e della sua risposta, perché risuono su essa, almeno in parte.

La sua risposta è:
" Solo quando la paura del nulla a fondamento dell’esistere si placa nella fiducia in Dio, fondamento che (tutto) regge, termina la lotta per conquistare il diritto di esistere - mediante la concorrenza tra chi produce di più - e (ottenere) l’autostima. Solo allora termina la lotta di tutti contro tutti e noi diventiamo capaci di libertà, autonomia e bontà."

Mi piace molto, ma io, al momento l'avrei detta così:
" Solo quando la paura del nulla a fondamento dell’esistere si placa nella fiducia nella vita, che è allo stesso tempo morte, termina la lotta per conquistare il diritto di esistere - mediante la concorrenza tra chi produce di più - e (ottenere) l’autostima. Solo allora termina la lotta di tutti contro tutti e noi diventiamo capaci di libertà, autonomia e bontà."

Comunque, molto ben centrati sulla questione sono i termini critici "concorrenza", "produzione" e "autostima".

Grazie di nuovo e buona estate a tutt@.