sabato 30 ottobre 2021

I TRE VOLTI DELLA 'CURA': APPRENSIONE, TERAPIA, ACCOMPAGNAMENTO


 LA CURA MA CON…MISURA

 

Ci sono atteggiamenti esistenziali che appartengono a noi umani in maniera costitutiva: secondo qualche importante filosofo, tra queste propensioni tipiche dell’umano ci sarebbe la cura. 

Per dimostrarlo egli risale a un mito greco (che, come tutti i miti, non riferisce fatti di cronaca effettivamente accaduti, ma verità simboliche di valore perenne): la dea Cura impasta del fango appartenente alla Terra e plasma l’uomo (così chiamato perché viene dall’humus) e Giove gli infonde l’anima. Ma scoppia un litigio fra i tre dei: chi di loro sarà il proprietario dell’essere umano? La disputa è risolta con una sentenza salomonica di Saturno: alla morte dell’uomo, l’anima sarà di Giove; il corpo sarà restituito  alla Terra; ma – durante il corso della vita- l’uomo apparterrà alla Cura. 

Che significa essere caratterizzati strutturalmente dalla ‘cura’?

In una prima accezione la Cura è la radice di ogni angoscia. Nel dialetto siciliano – ma forse in altri dialetti si trovano espressioni simili – esortare qualcuno con “Un ti pigghiari cura !” significa “non aver timore”, “non inquietarti”. L’invito è affettuoso, ma poco efficace: la morte, la malattia, la sofferenza incombono sulla vita nostra, dei nostri cari, dell’umanità, degli altri animali. Possiamo compensare con altre considerazioni la nostra preoccupazione, ma sino a un certo punto: non azzerarla del tutto.

‘Cura’ è anche terapia in senso medico, sanitario: sia in relazione alle malattie fisiche che alle sofferenze psichiche (per altro reciprocamene imbricate). Questa seconda accezione è tanto inevitabile quanto bisognosa di essere arginata. E’ inevitabile perché le patologie non sono inventate, ma oggettive: Giovanni Jervis, collaboratore di Franco Basaglia, anni fa ha scritto un libro autocritico dal titolo enigmatico, Contro il relativismo. Si riferiva al pericolo di cadere nell’errore – in cui egli stesso dichiarava di esser caduto – di ritenere che i disturbi psichiatrici siano tali solo quando determinati comportamenti vengono etichettati così dalle convenzioni socio-culturali dell’epoca. (Chi sa cosa avrebbe detto oggi, se fosse stato vivo, di quei geni che, cattedratici di filologia romanza o lavoratori portuali, dichiarano che il covid-19 è solo un’invenzione giornalistica al servizio delle grandi multinazionali del farmaco e delle oscure trame dei governi antidemocratici…). Certo c’è un margine di relatività anche nella storia della medicina, ma entro paletti abbastanza solidi: di Jacques Lacan si racconta che, irritato dalla relazione con un paziente, a un certo punto sia sbottato con un “Ma Lei è pazzo per davvero!”. 

Pur se inevitabile, l’accezione medica del termine ‘cura’ va però maneggiata con prudenza. Da decenni, ormai, è in atto una medicalizzazione del disagio davvero esagerata: ci siamo abituati, senza tema di ridicolo, all’opinione che debba esserci una pillola o una fiala per ogni bambino particolarmente vivace o per ogni  anziano rattristato dall’idea di dover morire…Anche se meno diffusa per ragioni economiche, la tendenza si è estesa dall’ambito farmacologico all’ambito delle psicoterapie: anziché imparare a convivere con le nostre problematiche esistenziali, chiediamo a un terapeuta della psiche di liberarcene. 

Ecco perché è importante scoprire, o meglio: riscoprire, una terza accezione di ‘cura’: il farsi compagno solidale dell’altro, degli altri.

2 commenti:

Mauro Matteucci ha detto...

Bellissimo! Sono completamente d'accordo in particolare sulla riflessione finale. I CARE come diceva il nostro don Milani. Buona domenica
Mauro

Ricontatto ha detto...

Riprendo dalla chiusura: «Tutti noi incontriamo nella vita gente che ci vuole curare senza curarsi di noi e gente che si cura di noi senza volerci curare». Quanta verità, carissimo Augusto: la vita mi ha portato a rendermene conto a mie e altrui spese, e trovare conferme nella tua saggezza mi conforta. Per il resto un gioiellino di sostanza, questo post! Ad avercene, di sintesi così ben confezionate... Profonde quanto appetibili: balsamiche, da gustare così come sono - ed è già tanto -, o da approfondire lasciandosi sedurre dal retrogusto, in base alle proprie inclinazioni e in tutta libertà. E pensare che c'è gente che si fa pagare caro, per dispensare molto meno di questo... Un abbraccio.