martedì 14 giugno 2022

1980 - 2022: QUARANT'ANNI DOPO L'OMICIDIO MATTARELLA, COSA E' CAMBIATO A PALERMO?


 “Infiniti mondi”

Maggio 2022


Il caso Sicilia. Bilancio critico di 40 anni di antimafia “dal basso” 


Il 1980 si è aperto (6 gennaio) con l’assassinio del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. Non era il primo né sarebbe stato l’ultimo dei “cadaveri eccellenti”. Nella lista, incredibilmente lunga, degli attentati per mano mafiosa ce ne sono almeno tre che hanno scosso – in maniera singolare – l’opinione pubblica: 3 settembre 1982 (generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa)1, 23 maggio 1992 (giudice Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta), 19 luglio 1992 (giudice Paolo Borsellino, con le persone – tra cui una poliziotta – della scorta)2. Che cosa abbiano significato nell’immaginario collettivo di noi siciliani queste tre stragi è difficile esprimerlo in parole: si rischia o di dire troppo poco o di cadere nella retorica più trita. Quando, nel 2012, mi fu chiesta una testimonianza a venti anni esatti da Capaci e via D’Amelio, non sono stato capace di scrivere altro: “Raramente capita che le tragedie della storia ci tocchino quasi fossero vicende private. A me è capitato pochissime volte. Due di queste, a meno di un mese di distanza, fra il 23 maggio e il 19 luglio del maledetto ’92 ” 3.


  1. Radici sentimentali della reazione antimafia

Perché rievoco queste risonanze soggettive, affettive, morali ? Perché – per ragioni che mi sfuggono: altre vittime non meno “illustri” sono cadute da un secolo e mezzo a oggi – senza questi effetti nell’animo di molti di noi non si spiegherebbe un dato storico indubitabile: che in Sicilia la reazione popolare, o per lo meno sociale, al dominio mafioso è stata di una consistenza e di una durata incomparabili rispetto ad altre regioni italiane, anche meridionali. In Calabria, in Campania, soprattutto in Lombardia con la fondazione del Circolo “Società civile” ad opera di Nando dalla Chiesa – senza contare l’attività di sensibilizzazione e di collegamento sull’intero territorio nazionale, da Torino, con “Libera” di don Luigi Ciotti 4 – non sono mancate associazioni, organizzazioni, aggregazioni; nulla, però, di confrontabile con la mobilitazione in Sicilia. 

A quarant’anni di distanza dalla data-simbolo (un po’ arbitrariamente) prescelta, che bilancio si può fare di questo che – approssimativamente – possiamo denominare “movimento antimafia dal basso” ?


  1. Il coinvolgimento attuale dell’osservatore-partecipante

Innanzitutto deve premettere una preoccupazione: siamo troppo vicini, anzi ancora immersi nel flusso degli eventi, per guadagnare quel minimo di distacco emotivo necessario ai consuntivi storici. L’osservatore-partecipante è stato sottoposto in questo lungo periodo cronologico a sommovimenti da ”montagne russe” o da “saune svedesi”: prostrazioni strazianti (“Qui è morta la speranza dei siciliani onesti” ha scritto una mano ignota sul luogo dell’omicidio di dalla Chiesa), balzi di entusiasmo per risultati enfatizzati (pensiamo a quando non si trovava in nessun angolo del Paese un teatro abbastanza ampio da contenere le presentazioni di libri come Delitto imperfetto 5 di Nando della Chiesa o Palermo 6 di Leoluca Orlando), di nuovo momenti di sconforto senza fondo (Antonino Caponetto, capo del pool antimafia avviato da Rocco Chinnici, che dopo via D’Amelio, tra le lacrime confida alle telecamere: “E’ finito tutto, è finito tutto…”) e così via sino ai nostri giorni, in cui – quando sei invitato in giro per portare la tua testimonianza di cittadino schierato – non sai più se considerarti orgoglioso di far parte del “movimento antimafia” siciliano o vergognarti di troppi compagni di strada indegni. 


  1. A che punto, in generale, con la lotta alla mafia?

Dopo la premessa sul coinvolgimento diretto dell’osservatore nelle vicende di cui si vorrebbe rendere conto, va subito aggiunto che qualsiasi bilancio sul “movimento antimafia dal basso” va inscritto all’interno del più ampio scenario della lotta alla mafia condotta anche dalle autorità giudiziarie, dalle istituzioni politiche, dai mezzi di informazione e dagli esponenti apicali delle chiese più numerose (dunque, in primis, dai vertici della chiesa cattolica). Cominciamo dunque dalla domanda suggerita da uno sguardo complessivo, d’insieme: a che punto siamo con il contrasto alla criminalità organizzata?

Per quanto strano possa sembrare, non si registra un accordo fra le risposte a questa domanda. Non sono forse i dati oggettivi ? Non dovrebbero imporsi a tutti? Le divergenze non dovrebbero iniziare quando dai dati oggettivi si passi alla loro interpretazione soggettiva? Sì, è vero: i dati sono oggettivi. Ma se non vengono considerati tutti, se si opera una selezione, il giudizio conseguente muta. Se, ad esempio, consideriamo eventi e numeri riguardanti il contrasto giudiziario a Cosa Nostra, non sarebbe né corretto né psicologicamente consigliabile negare i risultati molto incoraggianti raggiunti. Per la prima volta nella sua storia più che centenaria, la mafia siciliana è stata decapitata: i suoi capi storici, infatti, sono stati quasi tutti catturati, processati, condannati e hanno chiuso in carcere le loro infami esistenze. 

Tutto bene, dunque? Così sarebbe se Cosa Nostra, oltre ad essere un soggetto ‘militare’, non fosse anche un soggetto politico, economico e persino culturale-pedagogico. Poiché, invece, lo è, i dati da tenere in conto sono anche altri: quali rapporti fra mafiosi e politici? Quali i condizionamenti mafiosi nel mercato ? Quale la condivisione della tavola-dei-valori mafiosi da parte di frange consistenti della società? Con questi nuovi dati alla mano, il quadro ottimistico muta di segno. I colori sbiadiscono, le ombre si allungano. Ed è in questo panorama chiaroscurale che va inserita la questione, più specifica e circoscritta, del ruolo dell’antimafia sociale nell’ultimo quarantennio.


  1. Il bilancio dell’antimafia “dal basso”

E vediamo, all’interno di questo scenario più ampio, che bilancio possiamo tratteggiare del movimento antimafia ‘sociale’. Per precisione analitica distinguerò cinque punti di vista principali.

Dall’angolazione culturale il movimento siciliano ha prodotto dei materiali davvero interessanti che hanno focalizzato molte facce del poliedrico fenomeno mafioso. Si sono indagate le vicende storiche pre- e post-unitarie (Umberto Santino7, Giuseppe Carlo Marino8, Salvatore Lupo9, Amelia Crisantino10sono solo alcuni nomi tra numerosi, e non meno meritevoli, altri); si sono tematizzati i profili giuridici e giudiziari (ad es. Rocco Chinnici11, Giovanni Falcone12, Giovanni Fiandaca13, Roberto Scarpinato14, Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino15), i nessi con il sistema politico (ad es. Francesco Forgione16), il ruolo delle donne (ad es. Anna Puglisi17), i rapporti con la chiesa cattolica (ad es. Francesco Michele Stabile18, Cosimo Scordato19, Cataldo Naro20, Alessandra Dino21, Augusto Cavadi22), gli aspetti psicologici e psicopatologici (Girolamo Lo Verso23).

Dall’angolazione politica i risultati sono stati decisamente deludenti. Il movimento antimafia ha sì tentato di proiettarsi, con formazioni elettorali, sul piano istituzionale e amministrativo (per esempio con il Movimento “Una città per l’uomo”, con “La Rete” di Leoluca Orlando, con “L’Altra Sicilia” di Rita Borsellino), ma tali tentativi si sono rivelati, alla fine, fallimentari. Anche il popolo dell’antimafia, come il resto della popolazione, ha dimostrato di essere disposto – nel migliore dei casi – a firmare deleghe in bianco a capi carismatici, non ad assumersi responsabilità permanenti in prima persona. Né ad esito migliore ha condotto la strategia di appoggiare la candidatura in vari partiti di singole personalità del movimento antimafia: anche quando tali esponenti hanno effettivamente raccolto consistenti consensi elettorali, o hanno validato la profezia di Leonardo Sciascia sui “professionisti dell’antimafia”24 o – nei casi meno gravi, come il presidente della giunta regionale Rosario Crocetta – hanno dato prova di limitatissime capacità di governo. 

Dall’angolazione economica il bilancio registra una certa parità fra successi e fallimenti. Nella colonna delle ‘entrate’, dei guadagni, dobbiamo segnalare il movimento “Addiopizzo” attivato da giovani palermitani che hanno tappezzato la città di manifesti artigianali con su scritto “Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Sinora hanno aderito centinaia di commercianti e di consumatori, anzi si sono create organizzazioni simili per i professionisti (“Professionisti liberi”) e per gli imprenditori (“Libera impresa”). Intercettazioni telefoniche hanno confermato la validità della mobilitazione popolare: “Evitate” – ha raccomandato qualche boss ai suoi scagnozzi – “di chiedere soldi a questi che espongono il cartellino «Io non pago il pizzo». Non si sa mai: potrebbero avere qualche telecamera nascosta che si può vedere dalla Questura”. Purtroppo c’è anche una colonna di ‘uscite’, di perdite: il sistema bancario continua a prestare denaro a chi ne ha meno bisogno, o addirittura a chi è in grado di esercitare pressioni varie perfino ambigue, negandolo a chi è davvero nei guai. Da qui il sistema creditizio parallelo di Cosa Nostra fondato sull’usura e, in prospettiva, sull’acquisizione delle imprese insolventi. E’ notizia confermata da più fonti che la pandemia del covid-19 ha moltiplicato e accentuato i casi di indebitamento da parte di operatori onesti nei confronti di finanziatori sporchi. 

Dall’angolazione pedagogica i risultati raggiunti sono incoraggianti ma non soddisfacenti. Rispetto agli anni della mia adolescenza, è finalmente crollata l’ambiguità per cui nelle scuole e nelle altre agenzie educative ci si attardava nel duplice dibattito se la mafia esistesse e, nel caso affermativo, se fosse davvero un danno per la Sicilia. Oggi sempre più raramente ‘mafioso’ è un complimento e ‘sbirro’ un’offesa. Tuttavia la presa di distanza da certi luoghi comuni non ha significato il radicamento di una formazione organica adeguata: un po’ succintamente, si potrebbe dire che la pedagogia “mafiosa” non è stata ancora sostituita da una pedagogia “alternativa” perché imperniata sulla conoscenza, e più ancora sull’esperienza quotidiana, di princìpi come l’esercizio del pensiero critico, la partecipazione democratica, il rispetto delle norme costituzionali, la solidarietà verso le fasce impoverite e emarginate, la sensibilità per le bellezze naturali e artistiche e così via.

Trasversalmente rispetto alle quattro angolazioni evocate (culturale, politica, economica e pedagogica), ma anche a titolo fondativo di condizione di possibilità, non si può tacere sull’angolazione etica. Tra coloro che, celebrati perché martiri civili o rimasti sconosciuti perché sopravvissuti allo scontro sanguinario, si sono schierati con fermezza dalla parte della giustizia e della vera libertà, ce ne sono stati di privi di motivazioni etiche? O non è possibile rintracciare, all’origine della loro insubordinazione alla dittatura mafiosa, una riserva di energie morali alimentate ora da fede religiosa ora da convincimenti politici ora da una solida spiritualità laica? Da questo punto di vista il bilancio della lotta al sistema mafioso si presenta particolarmente preoccupante. Casi eclatanti particolarmente vergognosi (come la giudice Silvana Saguto, il presidente di Sicindustria Antonello Montante, il presidente di Confcommercio Roberto Helg) sono solo alcune punte di iceberg che emergono su un mare di corruzione, collusioni, scambi di favore, appropriazioni indebite, abusi. Ciò che preoccupa ancora di più, comunque, è una prognosi derivante da una panoramica più ampia. Fino ad oggi, infatti, ad ogni mafioso o para-mafioso ha fatto da pendant un cittadino onesto o addirittura impegnato attivamente contro il sistema mafioso: forse perché è stato beneficiato dall’incontro contagioso con personalità eticamente luminose incontrate in ambienti scolastici o sindacali o partitici o ecclesiali o associativi…Ma le generazioni affacciatesi sulla scena sociale nel periodo che stiamo esaminando in queste pagine – diciamo dai micidiali anni Ottanta a oggi – in quali ambienti hanno potuto avvertire, sperimentare, interiorizzare delle tensioni morali? Nelle scuole (essenzialmente palestre per allenarsi a ottenere più successo dei compagni) ? Nei sindacati (macchine burocratiche dove imparare l’arte del privilegio e del clientelismo) ? Nei partiti (caserme per soldati proni al leadervincente, ma abili a saltare sul carro del successivo)? Nelle comunità di tipo religioso (dove – in ambito cristiano e non meno in ambiti orientali - vigoreggia la tentazione di declinare la vita di fede in chiave più intimistica e egocentrica che attivamente solidale)? Nell’associazionismo laico (dove le lotte per l’occupazione dei ruoli apicali sono tanto più animate quanto meno consistente è il potere effettivo che vi si può esercitare)? 


  1. Per (non) concludere

Non formulo queste domande oppresso dallo scoraggiamento né tanto meno per indurre altri a scoraggiarsi, ma solo per desiderio di realismo dettato da onestà intellettuale. Solo se saremo capaci di diagnosi per quanto possibile lucide potremo azzardare delle terapie per quanto possibile efficaci. Soprattutto libere da enfasi retoriche, ormai neppure in grado di consolare sé stessi o gli altri.

Molti episodi, personaggi, ambienti che non sono stati chiamati in causa nelle mie righe precedenti sono stati rievocati, invece, in un libro del giovane e coraggioso giornalista marsalese Giacomo di Girolamo dal titolo inequivoco: Contro l’antimafia. Indubbiamente alcune espressioni sono (volutamente) esagerate, per esempio là dove, proprio come ouverture, scrive: “Io non ho mai avuto paura” (della mafia), “adesso sì” (dell’antimafia), perché quest’ultima si sarebbe trasformata in “un luogo di compromessi al ribasso, di piccole e grandi miserie, di accordi nell’ombra per spartirsi soldi e potere” 25. Tuttavia, nel complesso, il libro - scritto senza reverenze bigotte – è privo di acredine26 e avrebbe meritato un più ampio dibattito proprio all’interno del movimento passato ai raggi X27.

Come negare che uno dei limiti più gravi dell’antimafia militante è stato, ed è, l’incapacità di “coinvolgere altre persone al di fuori di questa élite che noi rappresentiamo, questo ceto medio impegnato, informato e itinerante, che si sposta, ascolta, applaude, inorridisce e ride. E si vede e si rivede, registrato, e ripetuto. Poi, quasi sempre, torna a pensare agli affari suoi”28 ? O anche l’approssimazione tuttologica con cui i sedicenti mafiologi “parlano di tutto, ognuno mette quintali del proprio ego a disposizione della folla plaudente, si calca sul pedale dell’emotività e alla fine ce ne andiamo privi di informazioni nuove ma con i lucciconi negli occhi”29 ? Non meno grave l’alto tasso di litigiosità interna alle organizzazioni nate in nome della legalità (democratica): “Ognuno pensa a se stesso; dietro l’ideologia di facciata e i proclami e le marce, ognuno pensa sé. E a volte odia il compagno di battaglia più di quanto odi i mafiosi” 30. Alle base di queste e altre distorsioni cova forse l’illusione che la mafia sia un’infiltrazione malata in un tessuto istituzionale e sociale sano e che dunque si possa fare lotta alla mafia senza, contestualmente, lavorare per un altro modello complessivo di società. Illusione che ne implica un’altra, logicamente anteriore: che si possa lavorare per una società nuova rimanendo persone ‘vecchie’, attaccate a quelle stesse ambizioni di dominio incontrastato e di arricchimento indefinito che caratterizzano l’orizzonte mentale del mafioso.

Gli ultimi quarant’anni di movimento antimafia siciliano, con le sue luci e le sue ombre, potrebbe insegnarci – se avessimo orecchie per intendere – essenzialmente questo: non c’è contrasto alla mafia senza politica (strategica), non c’è politica senza etica (rinnovata). 


Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

a.cavadi@libero.it

1 Sul quale resta attualissimo N. dalla Chiesa, Delitto imperfetto. Il generale, la mafia, la società italiana, Melampo, Milano 2007.

2 Per inquadrare nel contesto storico le due stragi cfr. U. Santino, Breve storia della mafia e dell’antimafia, Di Girolamo, Trapani 2011, pp. 145 – 149.

3 A. Cavadi, Tragedia storica, angoscia privata in D. Gambino – E. Zanca ( cura di), Vent’anni, Coppola, Trapani 2012, p. 33.

4 Cfr. N. della Chiesa (in collaborazione con L. Ioppolo, M. Mazzeo e M. Panzarasa), La scelta Libera. Giovani nel movimento antimafia, Gruppo Abele, Torino 2014.

5 N. dalla Chiesa, Delitto imperfetto, cit.

6 L. Orlando, Palermo, Mondadori, Milano 1990.


7 U. Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori Riuniti University Press, Roma 2009 e U. Santino, La mafia dimenticata. La criminalità organizzata in Sicilia dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento. Le inchieste, i processi. Un documento storico, Melampo, Milano 2017. A. Crisantino, Breve storia della Sicilia. Le radici antiche dei problemi di oggi, Di Girolamo, Trapani 2012 e A. Crisantino, Capire la mafia. Dal feudo alla finanza, Di Girolamo, Trapani 2019.

8 G. C. Marino, Storia della mafia. Dall’ «Onorata società» a «Cosa nostra», la ricostruzione critica di uno dei più inquietanti fenomeni del nostro tempo, Newton Compton, Roma 2006 e G. C. Marino, Globalmafia. Manifesto per un’Internazionale antimafia, con un contributo di A. Ingroia, Bompiani 2011.

9 S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma 2004 e S. Lupo, Potere criminale. Intervista sulla storia della mafia, a cura di G. Savatteri, Laterza, Roma – Bari 2010.

10 A. Crisantino, Breve storia della Sicilia. Le radici antiche dei problemi di oggi, Di Girolamo, Trapani 2012 e A. Crisantino, Capire la mafia. Dal feudo alla finanza, Di Girolamo, Trapani 2019.

11 R. Chinnici, L’illegalità protetta. Le parole e le intuizioni del magistrato che credeva nei giovani, Glifo, Palermo 2017.

12 G. Falcone, Interventi e proposte (1982 – 1992), Sansoni, Milano 1994.

13 G. Fiandaca (con S. Lupo), La mafia non ha vinto. Il labirinto della Trattativa, Laterza, Roma-Bari 2014.

14 R. Scarpinato (con S. Lodato),  Il ritorno del principe , Chiarelettere, Milano 2008.

15 G. Pignatone – M. Prestipino, Modelli criminali: Mafie di ieri e di oggi, Laterza, Roma- Bari 2019.

16 F. Forgione, Amici come prima. Storie di mafia e politica nella Seconda RepubblicaPrefazione di N. Tranfaglia, Editori Riuniti, Roma 2004.

17 A. Puglisi, Storie di donne. Antonietta Renda, Giovanna Terranova, Camilla Giaccone raccontano la loro vita, Di Girolamo, Trapani 2007 e A. Puglisi, Donne, mafia e antimafia, Di Girolamo, Trapani 2012.

18 Don Francesco Michele Stabile ha dedicato molti capitoli dei suoi libri di storia della chiesa cattolica in Sicilia, e molti saggi e articoli su riviste culturali, ai rapporti fra mondo cattolico e mafia. In maniera più diretta e organica affronta la tematica in Chiesa madre, ma cattiva maestra? Sulla “bolla” di Andrea Camilleri, Di Girolamo, Trapani 2020.

19 C. Scordato, Dalla mafia liberaci o Signore. Quale l’impegno della chiesa ?, Di Girolamo, Trapani 2014.

20 Cataldo Naro ha toccato in numerose occasioni la questione dei rapporti fra la chiesa cattolica e la mafia (vedi soprattutto La speranza è paziente. Interventi e interviste (2003-2006), Sciascia, Caltanissetta-Roma 2007), ma non ha fatto in tempo a produrre un’opera organica in proposito. Il fratello Massimo (autore, tra molto altro, di Contro i ladri di speranza. Come la Chiesa resiste alle mafie, Dehoniane, Bologna 2016) ha curato una raccolta - che sarà presto pubblicata - degli scritti del defunto arcivescovo di Monreale sulla tematica in questione.

21 A. Dino, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra, Laterza, Roma-Bari 2008.

22 A. Cavadi, Il Dio dei mafiosi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009 e A. Cavadi (ed.), Il vangelo e la lupara. Documenti e studi su chiese e mafie, Di Girolamo, Trapani 2019 (contiene saggi di Francesco Michele Stabile e Cataldo Naro).

23 G. Lo Verso – G. Lo Coco, La psiche mafiosa. Storie di casi clinici e collaboratori di giustizia, Franco Angeli, Milano 2013 e G. Lo Verso, La psicologia mafiosa. Un fondamentalismo nostrano, Di Girolamo, Trapani 2017.

24 I bersagli (Leoluca Orlando e Paolo Borsellino) erano sbagliati (soprattutto il secondo), ma la questione sollevata dallo scrittore siciliano era fondata.

25 G. Di Girolamo, Contro l’antimafia, Il Saggiatore, Milano 2016, pp. 13 – 15.

26 E non vorrebbe correre “il rischio di travolgere tutto, appiattendo nello stesso panorama storie diverse, la generosità e la buona fede di tanti, di un’antimafia operosa e sincera” (Ivi, p. 141).

27 A Palermo lo abbiamo presentato e discusso con l’autore presso la sede operativa dell’associazione di volontariato culturale “Scuola di formazione etico-politica G. Falcone”, ma con poche decine di partecipanti e soprattutto senza alcuni esponenti di associazioni criticate nel testo e da me invano invitati a esporre le proprie contro-considerazioni. Ignorare, evitare il regalo di un contraddittorio, lasciar dimenticare…vecchie tecniche, mai abbandonate. 

28 Ivi, p. 46. 

29 Ivi. 

30 Ivi, p. 147. 

4 commenti:

Antonella Palazzotto ha detto...

Lucidissima e condivisibile analisi.

Anonimo ha detto...

Da leggere, rileggere e conservare

Simona Rampulla ha detto...

Grazie Augusto, disamina lucidissima e, purtroppo, superlativamente triste.

Anna Pensato ha detto...

Grazie Augusto per la disarmante immagine che ci hai offerto, purtroppo è già da un po' di tempo che si sente aria di sfrontata restaurazione... Compresi due dei quesiti referendari.. per ora miseramente falliti...