lunedì 30 marzo 2015

LE CHIESE MERIDIONALI E LE CRIMINALITA' MAFIOSE: A CHE PUNTO SIAMO ?

Il prestigioso mensile interculturale "Confronti" ha inserito, nel numero di aprile, un dossier sulle varie sfaccettature del fenomeno mafioso oggi. Sono stato lieto di contribuire, su richiesta della Direzione, con alcune pagine su chiese e mafie che riproduco qui di seguito.

“Confronti”
Aprile 2015


LA STRATEGIA DEL BASTONE E DELLA CAROTA


Sul rapporto fra le chiese meridionali (cattolica, soprattutto ma non esclusivamente) e le associazioni di stampo mafioso è facile opporre apologia a demagogia. A chi sostiene  - soprattutto in ambienti di “sinistra” – che clericali e mafiosi vanno a braccetto si obietta – soprattutto in ambienti “moderati” – che non è vero; che anzi i cristiani di varie confessioni si sono sempre opposti con fermezza alla violenza criminale e che in alcuni casi (Piersanti Mattarella, Paolo Borsellino, Rosario Livatino… ) hanno pagato con la vita la loro opposizione.        Chi ha ragione? Per rispondere con un minimo di oggettività storica bisogna premettere che i cristiani del Meridione italiano si atteggiano nei confronti della mafia esattamente come la media dei loro concittadini. Una piccola parte ne è complice più o meno intimamente; un’altra parte, altrettanto piccola, si impegna seriamente nel contrastarla. E la maggioranza ? La maggioranza, per riprendere un’amara metafora di Giovanni Falcone, sta a guardare dagli spalti dell’arena come si svolge la corrida, alternando il tifo per il torero (le istituzioni statali sane) al tifo per il toro (le criminalità organizzate).
C’è una logica nell’alternarsi di rifiuto della mafia e di consenso sociale ad essa? Approssimativamente, sì. Ci sono momenti in cui le associazioni mafiose mostrano il loro volto armato, violento, talora terroristico: i cadaveri insanguinati per le vie di Catania e di Napoli, di Bari o di Palermo suscitano il ribrezzo e le maggioranze “silenziose” scendono in piazza, affollano le cattedrali in lutto, stendono lenzuoli bianchi dai balconi. Ma la mafia spara quando è in difficoltà. Ordinariamente le basta l’intimidazione. Anzi, spesso, non solo non deve esercitare violenza, ma neppure minacciarla: le basta comprare la libertà delle persone di cui vuole servirsi, corromperne le coscienze. Quando prevale questo volto apparentemente mite, o addirittura benevolo, la mafia ritrova il consenso sociale della maggioranza dei cittadini. E dei credenti. Insomma – per essere sintetici ma spero chiari – la strategia mafiosa alterna la carota della seduzione corruttiva con il bastone della punizione violenta ai disobbedienti: e sperimenta che con la carota guadagna più adepti di quanto ne ottenga con il bastone. L’era dello stragismo imposto dal boss  Totò Riina è durata circa dieci anni (e ha portato alla repressione giudiziaria e al conseguente  scardinamento della struttura militare di Cosa nostra); l’era del clientelismo corruttivo del politico  Totò Cuffaro è durata il doppio (e, per molti versi, sopravvive alla condanna giudiziaria del suo Demiurgo pacione per favoreggiamento mafioso).
Per capire un po’ più a fondo questo affresco storico-sociologico bisognerebbe accordarsi su una interpretazione della mafia come fenomeno complesso quale emerge, ad esempio, dagli studi di Umberto Santino e, più in generale, del Centro di studi siciliano “Giuseppe Impastato”: un’associazione di cosche criminali che hanno come obiettivo l’accumulazione del denaro e l’esercizio del potere mediante un vasto consenso sociale ottenuto mediante la condivisione di un codice culturale e la minaccia della violenza. Il punto nevralgico per intendere le relazioni fra mafie e chiese mi pare proprio il tassello del “codice culturale”. I mafiosi vogliono il controllo del territorio e sanno che, tradizionalmente, esso è in mano alle organizzazioni religiose (in primis le parrocchie cattoliche). Come fare per scalzare in un quartiere la presenza e l’influenza ecclesiale (che accompagna gli abitanti dalla culla alla tomba, passando per le tappe più significative dell’esistenza)?
In astratto essi avrebbero due vie: la contrapposizione frontale e l’infiltrazione mimetica. Nei rari casi in cui hanno adottato la prima strada (assassinando don Pino Puglisi, don Peppino Diana…) hanno sperimentato una sorta di effetto – boomerang : hanno scosso l’indifferenza dei fedeli, provocato sconcerto e sollecitato l’intervento più incisivo delle autorità giudiziarie. Più spesso i mafiosi hanno preferito, alla contrapposizione frontale, l’affiancamento complice. O in forma diretta (per esempio finanziando costruzione di chiese, erezione di oratori, festeggiamenti in onore di santi…) o, più spesso, in forma mediata: attraverso “amici” in comune che occupano ruoli istituzionali. I politici, collusi e compiacenti,  costituiscono il ponte dorato che lega abitualmente mafiosi e cristiani.
Due osservazioni su questa triangolazione mafia-politica-chiese.
La prima: non sono sempre e soltanto i soldi che passano dai forzieri mafiosi, macchiati di sangue innocente, alle casse parrocchiali, grazie alla mediazione dei politici (nazionali e soprattutto locali). I mafiosi sono sempre disposti a offrire agli ambienti cristiani (soprattutto cattolici) il supporto contro i “nemici” del momento: tipico (come ha documentato molto accuratamente lo storico della chiesa cattolica don Francesco Michele Stabile) il caso dei movimenti  di lotta contro i latifondi patronali ed ecclesiastici, i sindacati socialisti, il partito comunista. Schierandosi contro la “sinistra”, i mafiosi hanno lanciato un patto alla Democrazia cristiana e alle gerarchie cattoliche: un’alleanza (o per lo meno una convivenza non belligerante) in nome del principio per cui i nemici dei miei nemici sono miei amici.
La seconda osservazione: nessuna alleanza politica regge nel lungo periodo senza una consonanza ideale (o, per lo meno, ideologica). Più o meno sinceramente, i mafiosi vogliono adottare il punto di vista cristiano sul mondo, sulla storia, sulla vita. Un’impresa impossibile, a prima vista: come conciliare il vangelo della fraternità, della pace, della tenerezza con una mentalità ossessionata dall’accumulo del denaro, dal dominio sugli inermi, dalla minaccia della violenza? Tra annunzio cristiano e filosofia mafiosa l’incompatibilità è netta, insuperabile. Ma nei venti secoli del cristianesimo quel messaggio originario non è rimasto inalterato nella sua forza innovatrice, rivoluzionaria. E’ stato addomesticato, normalizzato, imborghesito. E’ diventato sempre più una dottrina dogmatica da accettare ciecamente e una ritualità formale da praticare. In particolare (come ho cercato di dimostrare ne Il Dio dei mafiosi), i membri delle cosche e i loro sodali hanno potuto adottare molti princìpi qualificanti del cattolicesimo mediterraneo: l’enfatizzazione della tradizione, l’assolutizzazione dell’obbedienza, il familismo esasperato, il maschilismo anaffettivo, la concezione riduttiva della donna…Il risultato di questi processi è un groviglio di simboli religiosi, interessi borghesi e atteggiamenti mafiosi che non sarà facile sciogliere. Soprattutto sino a quando ci rifiuteremo di vederlo senza schermi protettivi.


Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com



1 commento:

Armando Caccamo ha detto...

Meraviglia di analisi!