sabato 6 febbraio 2021

SPIRITUALITA' LAICA: RACCONTO DI ALCUNE ESPERIENZE EFFETTIVE


 “Viottoli”

Anno XXIII, N. 2/2020

 

OLTRE, MA ANCHE  PRIMA, DI OGNI OPZIONE RELIGIOSA: LA SPIRITUALITA’ LAICA

 

In un Paese di bimillenarie tradizioni cattoliche la parola ‘spiritualità’ ha finito col coincidere – e con l’essere sostituita – dalla parola ‘religione’: si dà per scontato che chi pratica una religione sia dotato spiritualmente e che, se qualcuno coltiva la spiritualità, sia anche un religioso nell’accezione confessionale, istituzionale, ecclesiale del termine. Agli inizi di questo secolo alcune amiche e alcuni amici, interessati alla dimensione spirituale piuttosto che alla pratica religiosa, mi hanno interpellato come “filosofo-in-pratica”: che potremmo inventarci quante/i di noi non accettano l’alternativa secca o il plesso inscindibile vita spirituale/religiosa o il deserto dell’edonismo consumistico? Non accettano l’alternativa scoraggiante domenicale fra la messa in parrocchia (dove il mondo sembra fermo al Medioevo, ma si avverte qualche alito spirituale) e  la giornata al centro commerciale (dove devi fingere di divertirti perché sgranocchi popcorn e succhi coca-cola) ? 

 

Le domeniche di chi non ha chiesa

La risposta che abbiamo costruito dialogando è stato un appuntamento mensile che perdura dall’autunno del 2002 e che, con un pizzico di auto-ironia, abbiamo chiamato  “la domenica di chi non ha chiesa”.  Alle 11 ci si vede (di solito non siamo meno di 12-14 né più di 28-30) e ci si accoglie a vicenda; alle 11,30 una persona che si è offerta il mese precedente (a giro: altrimenti diventa la domenica di chi non ha chiesa, ma ha un guru) dispone di un quarto d’ora per proporre un tema di meditazione (una poesia, un brano musicale, uno spezzone di film, un commento a un’opera pittorica, una pagina di diario da lui stesso scritta, un mix di queste sollecitazioni…) e, per circa un’altra ora, in clima di raccoglimento, chi vuole condivide le proprie risonanze interiori all’input ricevuto (senza dibattiti né contro-relazioni: abbiamo gli altri 29 giorni al mese per dialettizzare). Verso le 13 si rompe il silenzio e si condivide, in allegria, ciò che ognuno ha voluto cucinare e mettere sulla tavola. Dopo il pranzo c’è chi resta a chiacchierare, chi preferisce seguire il campionato di calcio agitandosi con gli amici, chi ritorna a casa per il riposino pomeridiano (secondo la buona tradizione mediterranea e latino-americana).

In questi appuntamenti domenicali cerchiamo (non sempre riuscendoci) di privilegiare la dimensione esistenziale, intuitiva, evocativa. Ma la maggior parte di noi siamo convinti che una spiritualità ‘laica’ non possa evitare la ricerca continua dei propri fondamenti razionali o per le meno ragionevoli: non possa, in altre parole, bypassare con disinvoltura gli interrogativi sulla verità. So che il vocabolo non gode di buona fama, ma – al di là del vocabolo – c’è un dato oggettivo: non si può vivere nessuna spiritualità sulla base dell’ignoranza, dell’inconsapevolezza, del dogmatismo, del tradizionalismo, del conformismo. La mia vita spirituale (dunque interiore, ma anche sociale; solitaria, ma anche comunitaria) vale quanto valgono le sue radici antropologiche: e come essere umano – come uomo e come donna – non posso vivere ignorando le conquiste delle scienze, il patrimonio artistico, le ricerche filosofiche, le opere della letteratura mondiale, i dibattiti socio-politici, i travagli delle grandi sapienze religiose dell’umanità…La vita spirituale è più che emotività, sentimento, ragione, impegno attivo e fattivo nella storia: ma è ‘più’ perché ingloba, anima e fa lievitare queste varie dimensioni, non perché ne predilige alcune e ne cancella altre. Certo questa sintesi è più un progetto, un modello verso cui tendere, che l’esperienza effettiva di ciascuna e di ciascuno di noi: ma proprio se condivido questa méta utopica avvertirò intimamente la necessità della comunità. Avvertirò la necessità di imparare dall’altro/a le disposizioni, le attitudini, le inclinazioni che mi mancano o mi difettano: di essere contagiato dalle qualità  che vedo rivelarsi nei tratti del volto altrui, nel suo stile di relazionarsi, nei suoi gesti più abituali. 

 

Le cenette filosofiche per non…filosofi  (e iniziative affini)

Per questo desiderio di non restare estranei a nulla di ciò che è umano, tra un appuntamento mensile e il successivo, ci vediamo due sere al mese per le “cenette filosofiche per non…filosofi”. I partecipanti (fra dieci e venticinque) scelgono un libro (un dialogo di Platone, un racconto di Tolstoj, un saggio di Jung o di Maria Zambrano o di Carlo Rovelli o di Vito Mancuso…), ne leggono un capitolo per volta a casa e – quando si incontrano – ne discutono insieme. La consegna sarebbe: evitare erudizione, citazioni, sottigliezze esegetiche (la stragrande maggioranza dei presenti non è laureata in filosofia e si occupa di tutt’altro nella vita) per evidenziare le riflessioni personali che quelle pagine hanno provocato quasi maieuticamente. 

Con lo stesso spirito di semplicità – che non è semplicioneria – cerchiamo di vivere altri eventi, il cui elenco completo sarebbe troppo lungo: le meditazioni settimanali (a partire da uno dei canti della Divina Commedia o da una poesia di Tagore o di Edgar Lee Masters o della considerazioni a braccio di qualcuno/a di noi sull’invidia come fenomeno psicologico e morale…); i week-end in fattoria (per esempio sul tema della morte o dell’accoglienza degli stranieri); le vacanze annuali estive (sul tema dell’amore di coppia o dell’impegno politico o dei rischi di ogni regime democratico…);  i festival di filosofia di strada (con passeggiate, colazioni al bar, dibattiti in teatro, esecuzioni musicali, presentazioni di novità editoriali…). Tutte queste iniziative (di cui do conto, preventivamente e poi a titolo di consuntivo , sul mio blog: www.augustocavadi.it) cercano di tenere insieme la serietà della ricerca, la libertà dei partecipanti (a cui non si chiede nessuna condizione pregiudiziale, tranne il rispetto per la libertà degli altri), la condivisione dei pasti e dei momenti di distensione, una certa “leggerezza” (nel senso di Italo Calvino) dal momento che etimologicamente ‘spiritualità’ è connessa a ‘spiritosità’. Anche quando si è trattato di celebrare matrimoni e funerali ‘laici’ sperimentando creativamente formule, gesti, simboli inventati da noi su misura dei protagonisti e delle circostanze.

 

Per un bilancio

Mi rendo conto da solo che la proposta spirituale qui sommariamente abbozzata si presenta come una costellazione ambiziosa: sintetizzare già all’interno di ogni soggetto le varie potenzialità (affettive, intuitive, razionali, relazionali, operative…) e, per giunta, tentare una sorta di osmosi fra i vari soggetti (in modo che la povertà costitutiva di ciascuno venga in qualche modo compensata dalla contaminazione reciproca). Ma i più anziani fra noi sappiamo che per sperare di colpire un bersaglio, specie se lontano,  dobbiamo mirare sempre un po’ più in alto. Comunque, a parte i limiti della attrazione simpatetica  che la nostra cerchia di amici riesce a esercitare, forse è nella pretenziosità   del nostro progetto che va individuata una delle ragioni del fatto che, pur essendo aperti a ogni nuovo arrivo, in circa vent’anni non abbiamo raggiunto numeri da capogiro: una quindicina di fedelissimi onnipresenti intorno ai quali gravitano, fra un’iniziativa e l’altra, una cinquantina di persone. E’ ovvio che di persone ne siano passate molte di più: ma, da Marcuse a oggi, “l’uomo a una dimensione” domina l’immaginario collettivo. Chi propende per lo studio individuale approfondito può trovare dispersivo incontrare persone meno istruite; chi si trova a suo agio con una devozione  religiosa tradizionale può avvertire come  superflua ogni riflessione critica; chi propende per le gratificazioni della prassi  può ritenere sterile coltivare la contemplazione estetica…e così via. Ma noi accettiamo con realismo la precarietà costitutiva della nostra esperienza spirituale: se le nostre esistenze individuali sono effimere, perché non dovrebbero esserlo le nostre esperienze comunitarie? Una volta appreso che neppure Gesù aveva intenzione di fondare una chiesa che sfidasse i millenni, sarebbe grottesco che volessimo fondare la “chiesa”  di chi non ha… chiesa.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

1 commento:

Maria D'Asaro ha detto...

Ottima sintesi di nutrienti appuntamenti spirituali ai quali ho (avuto) la fortuna di partecipare. Grazie.