mercoledì 10 dicembre 2025

E’ DIFFICILE FARE LE COSE DIFFICILI. MA BISOGNA PROVARCI LO STESSO.

 

Terzo commento richiestomi dall’agenzia di stampa “Adista”

per la rubrica “Fuori dal tempio”

Domenica 14 dicembre 2025     

 TERZA DOMENICA DI AVVENTO

MT 11, 2 – 11


Una nota storiella ebraica racconta del rabbino che ogni mattina si affaccia alla finestra per vedere se per caso sia arrivato il Messia. Puntualmente osserva ciò che avviene per le strade del mondo: i ciechi continuano a non vedere, gli zoppi a zoppicare, i lebbrosi a mostrare orribili piaghe, i sordi a non sentire, i morti a giacere sotterra e i poveri a intristire nella miseria. E allora richiude le imposte e amaramente conclude: “Neppure oggi è arrivato il Messia”.

Il vangelo odierno racconta esattamente il contrario: a Giovanni Battista si riferisca che i ciechi vedono, gli zoppi saltellano, i lebbrosi si trovano una pelle liscia da bambini, i sordi odono, i morti sono tornati a passeggiare nel loro quartiere e i poveri hanno ripreso il coraggio di liberarsi dalla loro schiavitù. Sì, glielo si riferisca ed egli capirà che l’attesa del Messia si è finalmente, e gioiosamente, conclusa.

Dopo duemila anni di tragedie storiche, di cui le varie Chiese cristiane sono state spettatrici e in molti casi attrici, a quale delle due narrazioni credere?

Sul piano dei fatti, degli eventi empiricamente registrabili, non mi pare che ci siano dubbi: mutano le culture, mutano le religioni, mutano le giustificazioni ideologiche, ma la marea della sofferenza totale permane costante. Nel micro della quotidianità ha ragione l’ironia di Marcello Marchesi: “Che bella cosa il progresso! Si vive più a lungo, si muore più spesso!”. Nel macro planetario è più arduo ironizzare: infatti ai progressi in un campo, ad esempio l’ambito medico-scientifico, corrispondono regressi in altri campi, ad esempio quello economico, dove al diminuire della povertà assoluta corrisponde l’aumento della povertà relativa (senza contare quelle aree del mondo in cui le monocolture intensive su scala industriale sradicano le pluricolture a regime familiare che garantivano una sobria, ma stabile, autosufficienza alimentare).

Se i dati oggettivi sono questi, non restano che due vie (a mio avviso, nonostante le apparenze, compatibili e integrabili).

La prima la indica una ‘variante’ della storiella ebraica precedente. Aaron Funkelstein, rabbino a Leopoli,  malinconicamente si alzava ogni mattina, malinconicamente andava alla finestra e malinconicamente diceva: «Il Messia non è venuto perché nulla vedo di cambiato». Una mattina andò alla finestra e disse: «Se anche il Messia viene, non è detto che cambi qualcosa». Da quel momento smise di andare ogni giorno alla finestra e di essere malinconico. E’ l’accettazione del tramonto definitivo di un messianismo ingenuo che attende - si potrebbe dire in un orizzonte teistico - la salvezza dall’Altro e dall’Alto.

La seconda via è d’intendere la pagina di Matteo (come tante altre dei vangeli canonici ed extra-canonici, a cominciare dal Discorso della Montagna con la proclamazione delle beatitudini) più come un sogno, o un progetto, che come un resoconto storiografico. Quando Matteo redige il suo testo sono trascorsi 40/50 anni dal passaggio terreno del Maestro: la vita collettiva non è stata stravolta in meglio, ma la speranza da lui accesa continua a brillare. Ora che di anni ne sono trascorsi due migliaia, possiamo apprezzare la lezione del rabbino di Leopoli: è sterile attendere irruzioni miracolistiche del divino e rosolarci nella delusione. Se non vogliamo cedere alla disperazione (e non ce ne mancherebbero i motivi!) dobbiamo intendere l’apporto del Messia (forse, meglio, dei tanti Inviati di Dio nella storia delle civiltà lungo i secoli) come l’offerta di una proposta, di un seme, di una piccola luce. In una prospettiva - che potremmo denominare post-teistica o trans-teistica - spetta a noi rendere attuale la rivoluzione messianica, come raccomanda in una sua Lettera ai bambini (aggiungo: di ogni età) il geniale Gianni Rodari: “E’ difficile fare/ le cose difficili:/ parlare al sordo,/ mostrare la rosa al cieco./ Bambini, imparate/ a fare le cose difficili:/ dare la mano al cieco,/ cantare per il sordo,/ liberare gli schiavi/ che si credono liberi”.

Augusto Cavadi

“Adista/Notizie”, n. 14 del 15.11.2025